C’è un bel libro uscito qualche mese fa, Digital disruption, di James McQuivey, analista di Forrester Research. Dal titolo si comprende l’argomento, non c’è bisogno di molte spiegazioni. La parte iniziale ne è forse il contributo più illuminante. La descrizione di come questa nuova rivoluzione industriale, perché di questo si tratta, sia basata su un aspetto fondamentale: l’abbattimento violento dell’archetipo su cui è costituito il sistema economico attuale; c’è l’ impresa che da lavoro da un lato e chi lavora dall’altro e l’innovazione nasce e si sviluppa sulla base di quanto l’impresa sia brava e interessata a essa. Può arrivare un’altra impresa, ma il meccanismo è lo stesso.
Ci sono, ci sono state, forti barriere all’ingresso nello sviluppo di innovazioni e questo blocca, o meglio, ha reso statiche le regole e i meccanismi con cui un’azienda nel proprio mercato possa diventare leader. A un livello più alto, aggregato, aggiungerei, questo ha reso statici per molti decenni interi sistemi economici, comunque legati e blindati da questa legacy, da questi meccanismi competitivi e quindi di sviluppo, ormai obsoleti.
Poi è arrivata, sta arrivando, la rivoluzione digitale, che dal basso cambia le regole, mercato dopo mercato, Paese dopo Paese.
Inutile raccontare i casi di digital disruption già noti e stranoti, al contrario quello che è interessante è come verranno quelli nuovi, come in realtà stanno già avvenendo. Un teenager oggi trova di fronte a se uno scenario ben diverso di quello di un suo coetaneo solo venti anni fa. Un mare di possibilità nuove.
Le aziende più innovative, ovviamente le prime sono quelle che vivono di Web, hanno compreso che aprire i propri sistemi di sviluppo informatico ad altri, esterni, è e sarà sempre più fonte di vantaggio competitivo, di sopravvivenza oltre che di successo. SDK (software development kit), API (application protocol interface) sono i nuovi strumenti con cui fare sviluppo, innovazione; il grimaldello è una porta d’accesso aperta a tutti per realizzare e proporre nuove soluzioni, nuovi servizi e magari venderli direttamente negli App store o alle aziende stesse o creare da zero la propria azienda. E cosi’ abbiamo l’Iphone SDK, il Google SDK, la Facebook developer platform, Paypal X etc, piattaforme open che danno accesso a tutti agli strumenti per fare innovazione.
Gli Apple store, i Google Playstore, aprono poi i mercati, i clienti, a tutti. Un’azienda con migliaia di sviluppatori, può essere battuta da un ragazzo che fa una APP e la mette sull’Apple Store. Non è uno scherzo, o una banalità, è cosi’ che muore Kodak, è così che nasce Instagram.
Questo è il punto, il crollo delle barriere all’ingresso (il disegno e lo sviluppo dei prodotti, la nascita di nuovi servizi) e al mercato (l’accesso ai clienti), amplificato dall’effetto virale, gratuito, fornito dai social network. In tutti i mercati, sono tutti toccati in qualche modo, è solo una questione di tempo, priorità e di velocità.
E qui veniamo a noi, lo scenario descritto nel libro è ambientato negli USA, dove un dodicenne, Thomas Suarez, può diventare uno sviluppatore di app di successo in pochissimo tempo da casa sua. Gli States avranno enormi vantaggi competitivi, perché è li dove, come sempre, tutto è possibile, dove tutto questo sta producendo enormi cambiamenti ed è già partito da tempo. Un esempio per tutti: PayPal, primo wallet per i pagamenti digitali al mondo con 180 miliardi di dollari di transato nel 2013, oggi in Italia ha già circa 3,5 milioni di clienti attivi, con una quota di mercato sui pagamenti on line di oltre il 20%. PayPal viene dagli States, dove è nata nel 1999 da Max Levchin, giovane programmatore, e Peter Thiel, giovane investitore, di origine tedesca, nutriti nell’ ecosistema della Stanford University. I due startupper poi vendettero a eBay nel 2002, alla non indifferente cifra di 1,4 miliardi di dollari, non prima di aver raggiunto 100mila conti e un forte successo commerciale dato dell’uso spontaneo della loro soluzione di pagamento on line dagli stessi utenti di ebay, che abbandonò la propria soluzione fatta in casa.
A sua volta Peter Thiel è stato poi uno dei primi investitori in Facebook e oggi è a capo di due società di venture capital. Dietro a questo motore, al talento ci sono i capitali, gli angels, i venture capitalist, chi ha capito e investe, chi sostiene.
E l’Italia? Come su tanti fronti, siamo lenti come sistema, titubanti, ancorati al passato che non ci sarà più. E rischiamo di perdere questo treno one way. E’ la nuova rivoluzione industriale e dobbiamo giocare non guardare gli altri. Siamo un Paese incredibilmente pieno di talenti, di idee, di spirito imprenditoriale. Un paese di “poeti e navigatori” è potenzialmente perfetto per dare al mondo il proprio contributo nella rivoluzione digitale e, perché no, a livello aggregato, di far crescere e modernizzare il nostro sistema.
Ma ci vuole visione, ci vuole fiducia, ci vuole sostegno.
Oggi in Italia i finanziamenti alle startup in generale valgono circa 130 milioni di euro, circa un quinto di quanto si stia investendo non negli Usa ma nei nostri Paesi vicini, in Francia, Germania, in UK. Ma ci sono almeno 1.500 startup già registrate alla Camera di commercio, che ci provano, e hanno bisogno di sostegno, di incubazione, accelerazione. Se guardiamo poi alle startup dedicate al mondo finanziario il funding ammonta solo a circa il 5,5% di quanto complessivamente destinato in Italia. Una fetta piccola di una torta piccola. Esiste un forte gap tra quello che si potrebbe fare, o che servirebbe, e quello che si fa.
GoPago, startup di matrice italiana nel sistema dei pagamenti, pur essendo di Italiani, si è sviluppata in California ed è stata acquisita recentemente da DoubleBeam. E’ nata altrove e andata via direi, pur essendo di italiani. Un successo imprenditoriale si, bello, vero, forse un’opportunità persa, perché abbiamo un ecosistema troppo debole.
Siamo arrivati al dunque, cio’ che vi ho descritto è il motivo principale per cui Che Banca! Ha deciso di lanciare e sostenere Che Banca! Grand Prix, il primo contest-programma di accelerazione dedicato alle startup fin-tech in Italia. Nata sei anni fa, Che Banca! è essa stessa una startup, una ex-startup ormai, in Italia. Quella di maggior successo nel mondo finanziario nel nostro mercato in Italia, nata dalla vision e dal sostegno del nostro azionista. Che Banca! sta davvero cambiando il modo di fare retail banking in Italia, attraverso un orientamento alla clientela unico, delle piattaforme digitali avanzate ma semplici e per questo apprezzate, un concept delle filiali ancora unico e dirompente.
Quindi, abbiamo deciso di provare ad identificare, premiare e sostenere le startup nascenti nel nostro settore, per dare un contributo tangibile ma anche un’opportunità vera a chi, anche piccolissimo, si lancia oggi in questo mercato. Anche per confrontarsi con chi lo fa ogni giorno, di scambiare passione e know how, di crescere, di trovare sostegno. Perché vogliamo che ci siano altri innovatori. Altri disruptor italiani, e che magari abbiano successo internazionale costruito dall’Italia e senza dover andare via. Ci concentriamo su ciò che conosciamo meglio, il settore dei servizi bancari e finanziari, di qualsiasi tipo, un verticale dove possiamo portare il nostro valore aggiunto, e perché no, aprire la nostra banca a chi voglia confrontarsi con noi, anche portare idee sfidanti, out of the box o complementari a ciò che facciamo.
E per fare questo, per creare un ecosistema, aperto, fertile nel nostro settore, abbiamo coinvolto da subito chi ha la nostra stessa passione ed ambizione, Il Politecnico di Milano, che con Polihub ed i sui programmi dedicati alle startup rappresenta un forte punto di riferimento di incubation in Italia, un’università che fa e supporta innovazione, e Startup Italia!, blog-luogo virtuale e vero centro di informazione, aggregazione degli startupper, a sua volta catalizzatore nazionale di attenzione e azione verso questo mondo.
CheBanca! Grand Prix sarà quindi non solo un contest per le startup fin-tech Italiane, sarà anche un programma che include mentoring, sostegno e visibilità, grant e ricerca di capitali, confronto vero con i manager di CheBanca! e con il corpo docente del Polimi, un programma pensato per creare ecosistema, supporto e quindi accelerazione in un settore così strategico per lo sviluppo e per le nuove sfide che ci attendono.
Qui tutte le informazioni sull’evento di presentazione di CheBanca! Grand Prix.