Se il mondo avrà una vaccino per l’Ebola dovrà ringraziare una startup italiana. Perché quella di Riccardo Cortese, «l’italiano che ha sconfitto l’Ebola», altro non è se non una startup innovativa. Nata dalla volontà di sperimentare metodi innovativi per immunizzare il fisico da un male fino ad oggi considerato incurabile. La storia di Cortese e… Read more »
Se il mondo avrà una vaccino per l’Ebola dovrà ringraziare una startup italiana. Perché quella di Riccardo Cortese, «l’italiano che ha sconfitto l’Ebola», altro non è se non una startup innovativa. Nata dalla volontà di sperimentare metodi innovativi per immunizzare il fisico da un male fino ad oggi considerato incurabile.
La storia di Cortese e della sua Okairos
Dopo aver lavorato a lungo in Germania, dove ha creato l’Unità di espressione genica del Laboratorio di biologia molecolare EMBL di Heidelberg, e in Italia, dove ha contribuito a creare la IRBM di Pomezia, Riccardo Cortese decide di mollare tutto e creare un proprio progetto di ricerca. Lo fa proprio quando una multinazionale (la Merk & Co.) si compra l’IRBM che ha diretto per 12 anni. Crea una startup e la chiama Okairos. Forse per buon auspicio – Okairos è un’espressione greca traducibile con “il momento propizio”. «Mi sono sentito abbastanza maturo per fare altro» ha dichiarato in un’intervista, «volevo scommettere in un progetto davvero innovativo». La sua idea era cercare di affrontare con una strategia diversa l’Ebola e altre malattie dimenticate. E nel 2009 comincia l’avventura della sua startup.
20 milioni di finanziamento per partire.
E qual’è il problema delle startup? Trovare dei finanziatori. Nessuno in Italia era disposto a finanziarlo. Allora Cortese guarda Oltralpe, in Svizzera, dove raccoglie 20 milioni: «Se qui trovi uno che vuole investire in un’idea lì sono almeno mille». Di quello che sta succedendo a Pomezia se ne accorge anche la Regione Lazio, che insieme al Cnr e all’Istituto superiore di sanità finanziano il progetto. Parte la sfida di Oikaros e del team di Cortese. I ricercatori sono partiti da un virus banale come quello del raffreddore e ne hanno fatto un killer capace di liberarsi degli agenti patogeni. Ebola, sì, ma anche Hiv e altri virus. Le cellule killer di Cortese non si limitano a creare anticorpi come i vaccini che conosciamo. Ma sono capaci di individuare il virus appena si introduce nell’organismo e bloccarlo subito. Arrivano i primi risultati. I test di laboratorio sui macachi danno riscontri positivi: per dieci mesi dopo il vaccino sono immuni all’Ebola. E’ fatta.
Il momento buono di Okairos.
E’ il momento propizio che Okairos porta nel nome. Perché nessuno a Cortese e soci poteva preannunciare che da lì a qualche anno si sarebbe sviluppata la più grande epidemia di Ebola mai registrata. Differenze dalle altre? La vasta area geografica colpita. Un’eccezione rispetto alle epidemie più circoscritte. Serve un vaccino per arginarlo e a Pomezia ce l’hanno. Una scoperta che potrebbe salvare milioni di vite umane. Ma per farlo occorrono laboratori più grandi. Spazi più grandi.
L’exit da 260 milioni
Cortese vende Okairos alla Glaxo nel 2013, che produrrà comunque i vaccini a Pomezia. Da 20 milioni di finanziamento (svizzero) un’exit da 260 milioni. In 2 anni. Da manuale. «Ciò che manca a sostegno della ricerca in Italia è il cosiddetto ‘capitale a rischio’» ha detto Cortese, «la capacità di investire su progetti innovativi, ancora tutti da realizzare, come è stata ad esempio la nostra esperienza”, da cui è nato il vaccino contro l’Ebola, oggi di proprietà di Gsk (Glaxo Smith Kline, nda)».