Simpatici ragazzi (di tutte le età) che si divertono a creare “cose” più o meno utili. È così che molti in Italia vedono ancora i maker. Eppure potrei fare la stessa domanda parlando di molte startup:reale innovazione oppure hobbisti del business? Superando la classica abitudine italiana alla dicotomia spicciola, la vera domanda sarebbe: quali condizioni… Read more »
Simpatici ragazzi (di tutte le età) che si divertono a creare “cose” più o meno utili.
È così che molti in Italia vedono ancora i maker.
Eppure potrei fare la stessa domanda parlando di molte startup:
reale innovazione oppure hobbisti del business?
Superando la classica abitudine italiana alla dicotomia spicciola, la vera domanda sarebbe: quali condizioni rendono le invenzioni dei maker una delle fonti di innovazione reale?
Ossia: occupazione, fatturato, sviluppo dell’economia. Me le son chiesto spesso, girando fra gli oltre 600 stand della Maker Faire di Roma. E ho trovato numerosi spunti interessanti.
Il primo è stato sviluppato da ragazzi catanesi: si tratta di un dispositivo salvavita che contiene informazioni sanitarie di chi lo indossa. L’hanno chiamato Dr Jack: inserito nella presa di uno smartphone, visualizza i dati relativi a intolleranze, patologie e altri aspetti che, in caso di impossibilità del malato, possono esser comunicati in modo semplice e immediato a medici o responsabili. “Stiamo cercando finanziatori per industrializzare l’idea a livello mondiale”, spiegano i ragazzi del FabLab di Catania. Una delle possibili valorizzazioni del progetto è la futura cessione a imprese che sviluppano Wearable technology.