Non è il triliardo sperato da Roma e oltre il 50% degli aiuti sarà prestito da restituire, ma non passa nemmeno la linea dei Frugal Four
Ci sono volute almeno tre settimane in più rispetto ai piani per presentare il progetto comunitario del Recovery Fund. Ma alla fine è arrivato. Il mandato che la Commissione europea di Ursula von der Layen aveva ricevuto dai capi di Stato e di Governo del Vecchio continente pareva una missione impossibile: trovare la quadratura del cerchio sul fondo per la ricostruzione su cui Italia – Francia e Spagna da un lato, Austria, Olanda, Danimarca e Svezia dall’altro, hanno idee completamente opposte. Il rischio che le istituzioni comunitarie partorissero la solita soluzione di compromesso che non fa nulla, scontenta tutti ma non fa vincere nemmeno nessuno era alto (e lo sarà finché non sarà approvato). La storia europea è costellata da esempi simili. Invece la Commissione europea ha fatto una proposta ardita che, come vedremo, più che avvantaggiare i singoli Stati avvantaggia l’Europa, dandole maggiore autonomia. Ecco allora chi sono i vincitori e vinti del Recovery Fund di Ursula.
Vincitori e vinti del Recovery Fund
Se il #NextGenerationEU di Bruxelles fosse approvato, l’Italia e Spagna sarebbero i due principali beneficiari, prendendo oltre il 40% delle risorse. A Roma, per esempio spetterebbero 82 miliardi in contributi a fondo perduto e 91 in prestiti per un totale di 172,7 miliardi (circa un quarto dell’ammontare complessivo), mentre a Madrid sarebbero destinati 77 miliardi di grants e 63 di crediti, per un totale di 140 miliardi.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il premier spagnolo Pedro Sánchez
La soluzione per cui ha optato la Commissione è sì di compromesso, ma leggermente a vantaggio nostro. Non è il fondo da 1 triliardo – 1 triliardo e mezzo chiesto da Giuseppe Conte e dal premier spagnolo Pedro Sánchez, ma difficilmente si riuscirà a ottenere di più. Dei circa 173 miliardi che riceveremo, più di 80 saranno “regalati”. È molto? È poco? Difficile dirlo, perché nessuno conosce ancora l’entità dei danni. Oggi possiamo affermare che il decreto Cura Italia e il decreto Rilancio sono costati esattamente 80 miliardi, quasi totalmente a debito: ripianare quel buco che aveva già fatto sfondare il rapporto deficit-PIL (quello che per i parametri di Maastricht, attualmente sospesi, dovrebbe sempre stare sotto il 3%) oltre il 10%.
Roberto Gualtieri
Certo, per una falla che riusciamo a chiudere, grazie al sostegno di Bruxelles, se ne aprirà un’altra persino più grande: 91 miliardi da restituire. Si tratta di regimi agevolati – si immagina -, ma ricordiamo che l’Italia aveva rifiutato per lo stesso motivo i circa 37 miliardi del MES, il famigerato Fondo salva Stati. Naturalmente non sarà possibile pescare dal piatto solo le sovvenzioni, lasciandoci i prestiti mentre nulla ancora è stato detto circa eventuali condizioni. Quelle “condizionalità” (per usare un terribile neologismo) che ai politici di casa nostra non piacciono affatto, perché tanfano di troika e si tradurrebbero in una agenda politica di compiti per casa scritta a Bruxelles.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
Come la prenderanno i Frugal Four?
Ma tra i vincitori e i vinti del #NextGenerationEU di Ursula von der Leyen ci sono senza dubbio Austria, Olanda, Danimarca e Svezia. I quattro avevano tratteggiato un fondo di emergenza “temporaneo, una tantum” e limitato a un biennio che non contemplasse sovvenzioni ma solo prestiti. La loro proposta è stata sì accolta, ma per aumentare di altri 250 miliardi il fondo per la ricostruzione, particolare che a tratti sembra persino una presa in giro.
L’anticamera degli eurobond?
Ma a mettere in allarme i Paesi frugali sarà il modo in cui Bruxelles intende finanziare il suo #NextGenerationEU attraverso obbligazioni della Commissione europea. Non si fa mai il nome degli Eurobond, che oltre i nostri confini sono odiati tanto quanto il MES nell’area mediterranea, ma la sostanza è quella. I titoli comunitari, avranno il rating tripla A dell’Unione europea, costituiranno di fatto una mutualizzazione del debito (non sovrano in senso lato, ma finalizzato alle spese per ricostruire) e dovranno essere rimborsati entro il 2058 ma non prima del 2028.
Mark Rutte
Tra i vinti troviamo i sovranisti
Nell’elenco dei vincitori e vinti del Recovery Fund troviamo senza dubbio i sovranisti dei singoli Paesi membri. E li troviamo tra gli sconfitti. Bruxelles sta infatti chiedendo ai Ventisette di rimborsare il debito del #NextGenerationEU aumentando i fondi a propria disposizione. Per esempio, si parla di prenderli dalle tasse sui colossi del Web e su chi inquina (quest’ultima però difficilmente si sposa con la necessità di rimettere in attività le industrie). Non bisogna essere economisti per comprendere che più fondi significa anche più autonomia. E più autonomia di Bruxelles equivale ad arretramenti sulla sovranità dei singoli Stati che fanno parte del Club europeo.
La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, all’Europarlamento
E infatti finora, la Commissione europea, oltre a non avere avuto possibilità di contemplare un bilancio che andasse in rosso, aveva sempre emesso debito per obiettivi specifici e importi al limite del ridicolo. Se invece passasse il Recovery Fund da 750 miliardi di euro disegnato da Ursula von der Leyen, l’esecutivo comunitario godrebbe di un tesoretto tutt’altro che irrisorio e di inediti poteri di finanziamento, poteri che al momento in Europa hanno solo due istituzioni sovrannazionali: l’odiato MES (contrariamente da quanto ripete Matteo Salvini, è finanziato solo in minima parte dagli Stati, il resto è reperito sul mercato di capitali) e la Banca per gli investimenti (BEI). Poi si sa come vanno queste cose: una emergenza per finanziarsi con una emissione straordinaria di bond la si trova sempre.
#NextGenerationEU, cosa succede ora?
Avremmo insomma una Unione europea meno fittizia e più forte. Ma, come abbiamo visto in questa rapida rassegna di vincitori e vinti del Recovery Fund, sono davvero tanti i possibili avversari del progetto. Progetto che ha ancora davanti a sé un cammino periglioso perché, oltre al voto dell’Europarlamento, dovrà passare prima dall’Eurogruppo e poi dal Consiglio europeo. E senza l’unanimità non si farà nulla. E se all’Italia tutto sommato è andata abbastanza bene, perché si vedrà appianare la spesa di 80 miliardi dei due decreti emergenziali, altri si stanno appostando per impallinare il #NextGenerationEu come un merlo.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz
Anzitutto, ci sono i Frugal Four, ma soprattutto non piacerà nemmeno a tutti i Paesi dell’Est Europa, quelli del “Gruppo di Visegrád” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) che finora sono stati europei solo nella misura in cui c’era da incassare le sovvenzioni comunitarie per mettere a posto le loro disastrate economie ex sovietiche, ma per il resto si sono dimostrati sempre poco inclini a spartire la propria sovranità nazionale con un organo sovrannazionale comunitario. E poi naturalmente ci sono i sovranisti interni a ogni Stato. I rappresentanti della linea “no euro” che in Italia rendono persino difficile ricorrere agli aiuti del MES. Insomma, la lunga marcia del Next Generation Eu è appena iniziata. Oggi ha mosso soltanto il primo passo e già la strada si presenta irta di inciampi.