L’errore che si potrebbe fare giocando a un vecchio Doom o a un vecchio Quake è che per recuperarne lo spirito basta riempire di mostri ambientazioni oscure e gotiche. Ed è proprio questa la leggerezza commessa da chi ha sviluppato Bloodhound.
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Intendiamoci, i ragazzi di Kruger & Flint Productions non hanno fatto un brutto lavoro e Bloodhound, se non si è troppo pretenziosi, risulta sia bello da vedere sia simpatico da giocare. Tuttavia, se si cerca davvero qualcosa che si rifaccia ai capisaldi del genere, è meglio guardare a progetti differenti.
La principale colpa di Bloodhound è quella di limitarsi a buttare sul nostro schermo, un po’ a casaccio, non solo nemici diversissimi tra loro, ma anche armi e ambientazioni fuori contesto, nella speranza che il giocatore, dovendo sopravvivere a scontri a fuoco indiavolati, non ci faccia troppo caso.
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Il problema però è che chi ha vissuto in prima persona l’epopea dei Doom e dei Quake sa bene che per ricreare quelle emozioni serve anzitutto un level design da urlo che permetta di tessere mappe arzigogolate e piazzare qua e là qualche semplice enigma. Persino gli stage di Duke Nukem 3D, decisamente più grezzo rispetto ai grandi titoli del passato, avevano quel quid pluris.
I quadri di questo titolo indipendente sono sì belli da vedere (anche se per certi versi sembrano un po’ un ammasso di asset prefabbricati), ma non sono assolutamente divertenti da giocare rivelandosi più simili ad arene in cui eliminare i bot avversari che il gioco ci vomita continuamente addosso.
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Intendiamoci, la produzione polacca è senz’altro meritevole di qualche partita, anche perché i boss richiedono a sorpresa un po’ di attenzione in più e chi pensa basti affrontarli a testa bassa finirà scornato.
Ma a deludere è la sensazione che tutto sia posizionato alla rinfusa, nella speranza che sia la quantità e non la qualità a creare un buon emulo di un Quake o di un Doom. Ed è per questo che Bloodhound finisce per esserne solo l’ennesima copia sbiadita, senza pretese di voler strafare.