Nessun bambino, nessuna bambina dovrebbe essere costretta a lasciare il suo Paese per mettersi in salvo dalle guerre o dalla povertà, eppure nel nostro Paese ci sono 20mila minori stranieri non accompagnati (elaborazione Openpolis) e, di questi, cinquemila ogni anno fanno perdere ogni traccia, scomparendo nel nulla.
Perdendo il gancio con le comunità e le istituzioni, perdono ogni possibilità di assistenza – sanitaria, legale, soprattutto psicologica, dunque ogni possibilità di futuro. “La prima cosa che ti chiedono questi bambini e ragazzini è sfamarsi e lavarsi”, dice Fra Marcello Longhi dell’Opera San Francesco per i poveri di Milano, “ma la prima cosa che dobbiamo fare noi adulti quando si presenta un minore solo è togliergli la paura”. Del resto, come ha ricordato Chiara Cardoletti dell’UNHCR, elaborare in profondità il trauma delle sofferenze atroci e degli abusi che hanno subito nel lunghissimo viaggio dal Paese di origine all’Europa è la condizione necessaria per ogni chance di rinascita. Invece, prima venduti, torturati, barattati, poi senza genitori, dentro città che non conoscono e che non li guardano come dovrebbero, rischiano di essere arruolati dalle organizzazioni criminali.
Nel nostro Paese ci sono realtà attentissime e solerti verso i fragili. I fondatori di Cometa, che da tempo, a Como, accoglie, educa e forma al lavoro bambini e bambine e ragazzi e ragazze in difficoltà, sanno in modo netto che istruzione, lavoro e bellezza sono le leve che li salvano. Ma, nel caso dei minori stranieri non accompagnati, l’iter per avviarli a un percorso di inserimento, allo studio e al lavoro è un garbuglio burocratico in cui è facile perdersi. Requisiti eccessivamente severi, ritardi dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali, carenza di tutori volontari e, prima ancora, un sistema di prima accoglienza strutturale inadeguato amplificano a dismisura le difficoltà.
La conseguenza di un problema, quando è complesso come questo, è che lo si rimuove, come singoli e come collettività: non lo vedo dunque non esiste, non esiste dunque non me ne occupo. Ma il costo della rimozione è enorme, in primo luogo per loro, già i più fragili tra i già fragili. Ma il costo della rimozione è altissimo per la società intera, perché ogni bambino o bambina che non ha avuto protezione, riconoscimento, ascolto diverrà quasi certamente un adulto spezzato, diffidente, rancoroso, inadeguato al lavoro e indisponibile all’integrazione, così come alla realizzazione di sé.
Prendersene cura è un dovere, una prova della nostra civiltà, e però è anche un investimento che costruisce sicurezza ed equilibrio per la società intera in cui crescono.
Ma, appunto, occorre vedere per fare. Voler accorgersi per mettersi in moto.