La maestosa marcia di San Paolo, in Brasile, probabilmente la più partecipata del mondo – centinaia di migliaia di persone in strada con i colori arcobaleno – ha dato il via al mese del Pride. Festa dell’orgoglio della comunità lgbtqia+, celebrazione della sua visibilità e unicità, occasione ogni anno rilanciata per rivendicare diritti e parità, il Pride è tornato.
Il Pride indigna, il Pride conquista. O di qua o di là. È il suo mix di fracasso mondano e mobilitazione civile a travolgere, l’esibizionismo sfrontato dei corpi, la sua umanità poliforme e inclusiva che tiene dentro tutto, il divertimento così fuori scala che, semmai, anomalo diventa in quel giorno chi ne sta fuori. Chi, anche eterosessuale, ci è andato una volta, quella dopo ci ritorna; chi se ne tiene lontano, riconferma la sua distanza.
Orgoglio di essere come si è
Pretendere decoro dal Pride sarebbe un controsenso: in fondo il Pride è lì proprio per dire che è bello essere differenti e scomodi perché vanno bene tutti i modi di essere. Pretendere dal Pride la discrezione pure: il Pride si rivela ostentandosi e nasce esattamente per farsi vedere e riconoscere. Chi oggi grida nelle strade l’appartenenza a questa comunità ha dovuto a lungo nascondersi, vivere la clandestinità e la repressione, subire disprezzo in silenzio. E chi grida l’orgoglio di essere com’è sta, in fondo, rendendo onore a chi, in una notte americana di una cinquantina di anni fa, ha gridato, orgogliosamente, di essere proprio ciò che gli altri non approvavano.
La scintilla della liberazione lgbtqia+
Erano tempi in cui se si era omosessuale e trans si rischiava ogni minuto la vita e nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 allo Stonewall Inn, bar gay nel Greenwich Village di New York, persone omosessuali e trans si ribellarono per la prima volta alla polizia che vi aveva fatto irruzione per una retata. Seguirono giorni di scontri, anche molto violenti. Quella fu la scintilla sorgiva della liberazione lgbtqia+, del movimento globale del Pride.
Una rete inclusiva
Il Pride non è solo la parata e la Carrà ballata a più non posso: è una rete di incontri, mostre, dibattiti, eventi inclusivi a cui partecipano anche famiglie, bambini, anziani, cittadine, cittadini, gli stessi, le stesse che nel partecipare alle marce o nel viverle dai marciapiedi è come se dicessero a ciascuna persona che sfila: ti porto la mia attenzione e il mio appoggio, ti riconosco nel tuo essere la persona che sei e che vuoi diventare, nel tuo modo di amare e di vivere le relazioni.
L’Italia deve fare ancora molto
L’Italia deve fare ancora molto per rendere il rispetto un credere comune e costruire diritti e parità effettiva: l’ultima Rainbow Map di ILGA Europe, che classifica i Paesi europei sulla base dei diritti lgbti mette l’italia al 36esimo posto su 49, retrocedendola di due posizioni e affiancandola ai Paesi dell’Est, tradizionalmente intolleranti. Ma se oggi queer è un’identità rivendicata e non più un insulto è anche perché quel rivelarsi in maniera così forte, vera e divertita nelle strade del Pride ha dato sicurezza a chi è dentro la comunità e ha fatto crescere, in chi è fuori, la consapevolezza che libertà e rispetto non possono più stare da una parte sola.
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