Ci sono parole che non sono mai entrate nel lessico manageriale e, anzi, sono sempre state intenzionalmente ignorate, ma che oggi si dimostrano cruciali per prepararsi a un mondo del lavoro che sta tumultuosamente cambiando. Coraggio, Vulnerabilità, Partecipazione, Felicità diventano adesso poli magnetici attorno a cui gravita l’attenzione di chi vuole maturare nuove abilità e competenze distintive, costruire leadership efficaci e sensibili, persino fare del lavoro un luogo possibile della felicità e del senso.
Voci del lavoro nuovo è il nome che Silvia Zanella ha dato alla collana di Franco Angeli di cui è direttrice editoriale, dove ogni volume è incentrato, appunto, su una parola chiave. Il mondo del lavoro – comincia a raccontare Zanella – è rimasto senza parole. «Il cambiamento radicale avvenuto negli ultimi anni ha svuotato di senso molti concetti dati per assodati, tanto nel lessico quotidiano, quanto nella letteratura manageriale. Ci ritroviamo a usarli e immediatamente capiamo che qualcosa non funziona più. Serve un nuovo vocabolario. E non si tratta necessariamente di inventare nuove parole, ma di dare un senso differente o inedito a quelle che già ci sono e che non sono mai entrate a pieno titolo nel mondo del lavoro».
E siccome le parole si fanno nuove quando a metterle a fuoco sono persone che portano una promessa nuova, ecco scrivere per la collana autrici dalle esperienze per nulla scontate: la psicologa del lavoro Biancamaria Cavallini per interpretare Vulnerabilità, la HR Business Writer Roberta Zantedeschi per Partecipazione, la consulente per le risorse Umane Chiara Bisconti per Felicità e Annalisa Galardi, docente all’Università Cattolica di Comunicazione d’impresa, per Coraggio.
Silvia Zanella, perché ha scelto come bussole proprio le parole?
Perché siamo al centro di cambiamenti enormi e sconvolgenti e non abbiamo le parole per rappresentarli. Quelle che abbiamo sono legate a un contesto fordista, novecentesco: sono usurate. Guardiamo già solo ai termini dipendente, subordinato, libero professionista, imprenditore: rappresentanoconcettiormai sfuocati, che hanno bisogno di nuovi contenuti. Lo stesso concetto di lavoro sta prendendo traiettorie completamente inedite. Per non dire delle professioni del digitale, che non trovano le parole per essere raccontate.
E poi ci sono parole che sono proprio ignorate dai contesti manageriali. Partecipazione lo è senz’altro, e anche Felicità, per non dire della Vulnerabilità.
Sono le voci legate alle emozioni, ai vissuti personali, alle relazioni. Tutto ciò che è soft skill è stato a lungo ignorato. Ecco, io non accettavo più che tutta una serie di vissuti fossero tenuti fuori dal quotidiano aziendale. Ma come? Esattamente in questo momento, sto lavorando dalla cameretta di mio figlio. Perché devo lasciare il mio sé autentico fuori dalla porta dell’ufficio se porto il lavoro nei miei luoghi più intimi? Questo sconfinamento è proprio il tema su cui oggi ci dobbiamo misurare. Se porto il pc in vacanza o rispondo alla email di un collega prima di entrare al cinema, sono legittimata ad aspettarmi che l’azienda per cui lavoro accolga anche la mia dimensione privata. Quando la dimensione professionale non ammette parole private, lo scambio non è più equo.
Vulnerabilità: da prova di debolezza a leva strategica. Come ci si arriva?
Esprimersi liberamente, mostrare il proprio sé più vero, coltivare ed esporre i dubbi aiuta a costruire relazioni più sincere e collaborative. Legittimare la propria vulnerabilità significa legittimare quella degli altri. Ma, soprattutto, la vulnerabilità può diventare forza: succede quando ci apre alla consapevolezza che possiamo sbagliare e fronteggiare l’incertezza con fiducia, sapendo che ce la possiamo fare.
Altra voce è il coraggio. Il coraggio di mostrarsi vulnerabili. Appunto. Ce ne vuole, specie se si è in una posizione di leadership.
Certamente. E, invece, il coraggio è da sempre associato all’infallibilità, quasi fosse un’emanazione da superuomini. Ma la realtà ci ha portato a renderci conto del fatto che i superuomini non esistono e, se esistono, sono dannosi.
In cosa è richiesto, oggi, coraggio?
Nel mettersi in una posizione di ascolto, di ascolto attivo. Non si tratta di un’operazione affatto semplice, ma farlo cambia completamente gli equilibri negoziali: l’ascolto attivo è capace di produrre risultati potentissimi. Ne discende una ulteriore forma di coraggio: quello di dialogare.
Un’altra voce, un altro testo. Siamo a Partecipazione. Gaber, cinquant’anni fa, ci ha visto lunghissimo: la libertà è partecipazione.
Nel mondo del lavoro nuovo la partecipazione è un diritto e un dovere: significa trovare un proprio spazio di espressione, fino – anche – a prendere parte al processo decisionale aziendale. Cercando una voce che rappresentasse questo concetto, avevo prima pensato a Community, poi a Employee Experience, ma poi Partecipazione mi ha decisamente convinto rispetto a tutte le altre. Partecipare ha, in qualche modo, un senso anche politico: occorre che tutti possano partecipare. E poi partecipare presuppone i concetti di responsabilità, delega, fiducia reciproca.
Che sono i pilastri della via intelligente allo smartworking. Meno cultura del controllo, più partecipazione delle persone. Più delega e più trasparenza.
Assolutamente, oltre a un costante dialogo. La partecipazione delle persone che lavorano attraverso azioni e scelte quotidiane le fa stare meglio, le motiva, fa crescere la fiducia, incoraggia a migliorare, stimolando l’evoluzione dei sistemi.
Una parola che dobbiamo, da questo punto di vista, dimenticare qual è?
Azienda come famiglia. Si tratta di un concetto ancora piuttosto diffuso. Ma è completamente disfunzionale.
Arriviamo alla voce Felicità: scrive che deve entrare di diritto nel mondo del lavoro.
Qui l’autrice è riuscita in un miracolo, chiarendo cosa si intende per felicità al lavoro, distinguendola da quella privata e personale, che è insindacale e sulla quale nessuno ha diritto di mettere parola, men che meno manager e datori di lavoro. La felicità al lavoro è un tipo di felicità collettiva e socializzata, che nasce dalle relazioni, in un spazio comune e da condizioni aziendali felicitanti: in questi anni di ripensamento del lavoro, felicità è una parola che deve entrare di diritto nel mondo del lavoro perché è la condizione che ogni persona deve poter perseguire, tutti i giorni.
Le prossime voci dei prossimi libri?
Saranno Autenticità, Unicità, Cura.
Qual è la parola mantra di Silvia Zanella?
Punto di equilibrio. Io faccio molto, mi spendo professionalmente tantissimo, ma ho una cura profonda della mia dimensione privata.