Bianca Arrighini, Fondatrice e CEO di Factanza: “Nei pitch vengono selezionati più ragazzi che ragazze. Ci siamo mai interrogati sul perché ci siano così poche donne nel mondo VC?”
Che l’Italia non sia un Paese per giovani, è un dato di fatto. Basta notare come i sindacati si preoccupino più della riforma delle pensioni che non di dare accesso ai giovani al mondo del lavoro, o quante teste canute si contino in ogni assemblea di potere, dalle SpA al Parlamento e su, fino al governo. Del resto, il nostro è il secondo Paese più anziano al mondo, dopo il Giappone. Un tempo si parlava di lotta di classe, ora è in atto uno scontro generazionale.
Secondo gli ultimi dati dell’Istat, il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana nel 2020 è stato pari a 1,17 e l’età media al parto è aumentata di oltre due anni, raggiungendo i 32,2 anni; in misura ancora più marcata è cresciuta anche l’età media alla nascita del primo figlio, che si attesta a 31,4 anni nel 2020. Se non sarà invertita la rotta della natalità con misure strutturali, nel 2050 l’Italia avrà 5 milioni di abitanti in meno: solo poco più di una persona su due sarà in età da lavoro, con un 52% di persone tra i 20-66 anni che dovrebbero provvedere sia alla cura e alla formazione delle persone sotto i venti anni (16%), sia alla produzione di adeguate risorse per il mantenimento e l’assistenza ai pensionati (32%). E, ancora, in base a quanto si legge nell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia di Save the Children, in 15 anni la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di circa 600 mila minori e oggi meno di un cittadino su 6 non ha compiuto i 18 anni.
Se in Italia si fanno pochi figli, la colpa non è solo del modello di famiglia tradizionale, ormai più agonizzante che in crisi e nemmeno, come spesso viene raccontato, del fatto che le donne alla maternità preferiscano la carriera. Quanto all’impossibilità, per le ragazze, di essere messe nelle condizioni di mettere su famiglia nel fortuito caso in cui riescano a trovare un lavoro. Parla del fenomeno il libro “L’età del cambiamento. Come ridiventare un Paese per giovani”, di Silvia Sciorilli Borrelli, presentato nella giornata di ieri a Milano, alla presenza di Benedetto Levi, CEO di Iliad, Bianca Arrighini, Fondatrice e CEO di Factanza e Andrea Scotti Calderini, CEO e Co-Founder di Freeda. Un parterre di eccezione per il solo fatto di comporsi da giovani se non giovanissimi, dall’età compresa tra i 37 e i 24 anni. Un parterre che ci dimostra che c’è anche chi, fresco di laurea (e con i baffetti ancora sporchi di latte, malignerebbero alcuni) riesce ad arrivare nei posti che contano, pur scontrandosi quotidianamente con una realtà di dinosauri che lottano per non estinguersi ma lo fanno senza guardare il meteorite, bensì provando a calpestare, contro ogni buonsenso darwiniano, le poche nidiate fresche di cova.
“Per i giovani è sempre più difficile entrare nel mercato del lavoro, anche perché la scuola non forma quelle figure che oggi vengono ricercate da noi imprese”, constata amaramente Benedetto Levi, CEO di Iliad. “Quanto alla genitorialità, bisogna cambiare cultura: le aziende debbono supportarla e non contrastarla, anche con un intervento del legislatore”. Gli fa eco la giovanissima numero 1 di Factanza, Bianca Arrighini che ricorda come “le politiche attuali, dagli asili ai congedi, sono assolutamente insufficienti”. Quindi allarga il campo di gioco: “Dovremmo riflettere del perché solo il 3% delle grandi aziende abbia un Ceo donna”.
Andrea Scotti Calderini, CEO e Co-Founder di Freeda porta nella discussione i risultati della ricerca condotti sul tema dalla testata e, in particolare, il fatto che “sia emerso che in sede di colloquio di lavoro a tante ragazze viene chiesto se intendono mettere su famiglia: molte o non rispondono o sono indotte a mentire”. Bianca Arrighini sottolinea poi come “in tema di diritti, si assista a un triste scaricabarile tra imprese e politica”, osservazione che viene ripresa da Silvia Sciorilli Borrelli, per la quale “dato che nel nostro Paese il tessuto produttivo si compone soprattutto da aziende medio-piccole, queste non hanno la forza, come le grandi quotate, di garantire diritti. È lì – sottolinea la giornalista – che deve entrare in gioco lo stato”.
L’amministratrice delegata di Factanza, da startupper, invita poi a riflettere su temi molto vicini a chi legge il nostro giornale, ovvero “il fatto che nei pitch è più facile che a essere preferiti siano gli uomini e la scarsità di donne nel mondo VC. Anche le startup tech – annota con una punta di tristezza Arrighini – sono a forte prevalenza maschile, discorso che si collega direttamente alla penuria di donne nelle materie STEM…” Insomma, una eventuale riforma del lavoro non basterebbe: se vogliamo che le donne italiane tornino ad avere bambini (se, in altri termini, forse più comprensibili anche a chi ci governa, non vogliamo estinguerci), serve una riforma della scuola. E forse pure un cambiamento del paradigma culturale.