Premiata dall’Italian computer society nel 2021. «Una ventina di anni fa ci fu un piccolo boom nelle università, con numeri quasi pari nei corsi di informatica tra ragazzi e ragazze». E oggi a che punto siamo?
Quando si parla di materie STEM – Science, Technology, Engineering, Mathematics – purtroppo registriamo ancora un pregiudizio nei confronti delle donne e dei talenti femminili. Secondo un odioso luogo comune, ancora duro a morire, certe materie sarebbero più adatte agli uomini. Non si sa poi per quale diamine di ragione. Per sradicare questa assurdità ci siamo rivolti ad Anna Vaccarelli, dirigente tecnologo dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr (Cnr-Iit) di Pisa e premiata nel 2021 come migliore informatica dall’Italian computer society. Di recente è stata scelta come testimonial della Campagna 5X1000 al Cnr “Tutti per la ricerca, la ricerca per tutti”.
Come vede la situazione in Italia per quanto riguarda l’inclusione nelle materie STEM?
Dal mio punto di vista è sicuramente migliorata rispetto a quando frequentavo Ingegneria. La situazione non è comunque entusiasmante. Una ventina di anni fa ci fu un piccolo boom, con numeri quasi pari nei corsi di informatica tra ragazzi e ragazze. Negli ultimo decennio c’è stata invece una regressione. Sembra esserci ancora un pregiudizio, anche da parte delle donne. Probabilmente alcune pensano di non essere all’altezza, per motivi di istruzione o di contesto sociale. Non sono sufficientemente motivate. Ma io dico che non si devono far mettere in difficoltà. L’atteggiamento di rinuncia non c’è in tutte, ma si possono mettere in campo azioni culturali.
Cybersecurity, una materia per molti troppo tecnica. Ma è davvero così?
Tornerei un attimo sul tema inclusione. Una nostra survey sulle donne nella cybersecurity riferisce che non si sentono messe da parte, anzi. Questo significa che ci sono ambienti di lavoro dove si sentono a proprio agio e lavorano bene. Torno alla domanda: nella cybersecurity, come in altri settori, non servono soltanto tecnici, ma anche altre competenze. Servono esperti di diritto, non per forza nerd. Servono persone che facciano comunicazione, con una preparazione umanistica. Carola Frediani (giornalista e autrice della newsletter Guerre di Rete, ndr) è un esempio su tutti. Chi fosse interessato a questo ambito non deve necessariamente diventare un informatico. Non dimentichiamocelo: tutti abbiamo a che fare con la cybersecurity, anche per il solo fatto di avere uno smartphone in mano.
“Nella cybersecurity non servono soltanto tecnici. Servono esperti di diritto, non per forza nerd”
Con Registro.it mappate il mondo del web, come un anagrafe.
I trend sono in crescita. Nel periodo del lockdown sono nati tanti siti nuovi. Questo perché soggetti e professionisti si sono orientati verso l’online. Il .it è cresciuto del 3% su base annua. In Italia il numero di smartphone è superiore al numero delle persone. Vuol dire che l’accesso alla rete avviene attraverso questi device e l’utilizzo dei social è senz’altro preponderante.
Da oltre un anno si discute di metaverso, ma anche di NFT. Che idea si è fatta del fenomeno della decentralizzazione?
È rischiosa secondo me. Perché se dovessero crearsi isole della rete non è detto che poi continuino a parlarsi tra loro. Ora siamo collegati con lo stesso standard. Alcuni paesi stanno proponendo nuovi protocolli che consentirebbero di veicolare più informazioni, in particolare quelle sensoriali. Tattile e olfattiva. Ma perderemmo la globalità che abbiamo adesso. È un problema tecnico, ma ci sono risvolti rischiosi di balcanizzazione
Cosa pensa delle nuove generazioni, quelle dei nativi digitali?
I ragazzi hanno infinti pregi. Sono nati con queste tecnologie. Le sanno usare, sono più disinvolti. Gli manca, essendo giovani, l’esperienza. Gli adulti possono guidare i giovani, aiutandoli a riconoscere i rischi.