Lo studio dei grani antichi è una materia di grande interesse per gli scienziati non solo perché è tra le poche colture ad aver resistito meglio ai cambiamenti climatici, ma anche per il ruolo prezioso che ha nel mitigare l’impatto dell’agricoltura sul clima. Si pensi che le varietà antiche di frumento coltivate con metodo biologico riescono a trattenere più carbonio di quanto i loro stessi cicli produttivi emettano in atmosfera. Proprio di questo si occupa Alessandra Biancolillo, ricercatrice premiata durante la 21a edizione del Premio L’Oréal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza”, un prestigioso riconoscimento che è stato assegnato ad alcune scienziate italiane capaci di contraddistinguersi per l’alto potenziale delle proprie innovazioni. La abbiamo intercettata per farci svelare qualche dettaglio della sua ricerca e per capire in quali direzioni si sta muovendo la scienza in questo campo così affascinante dove storia, agricoltura e made in Italy si intrecciano.
Alessandra, quando hai capito che nel tuo futuro ci sarebbe stata la ricerca?
Mi occupo di ricerca dal 2013, l’anno in cui ho iniziato il dottorato, ma lo studio scientifico mi appassiona da sempre, credo di essere nata con questa inclinazione. Quello che, poi, mi ha spinta alla scelta di fare la ricercatrice nella vita è stata la volontà di prendere attivamente parte alle attività di salvaguardia dell’ambiente. Credo che la riduzione dell’impatto ambientale, sia a livello individuale che come società, sia tra le priorità di tutti i Paesi a livello globale.
Come hai iniziato a studiare i grani antichi?
Proprio grazie al supporto ricevuto dal Premio L’Oréal – UNESCO studio i grani antichi e le popolazioni evolutive di grani che sono in grado di creare dei sistemi resilienti ai cambiamenti climatici. In questo campo, tramite l’analisi con tecniche non distruttive di campioni di grani e dei loro prodotti derivati, cerco di capire come poter minimizzare lo spreco alimentare. L’elaborazione dei dati avviene mediante modelli chemiometrici che mi permettono di estrarre le informazioni raccolte necessarie a comprendere le diverse caratteristiche chimiche dei grani (e dei loro prodotti) coltivati in condizioni climatiche differenti.
Cosa ti ha spinto a partecipare alla call di L’ORÉAL-UNESCO?
La voglia di poter partecipare a un’attività che miri a supportare la ricerca delle giovani ricercatrici in Italia. È importante che venga data rilevanza a questo aspetto perché il gender gap è ancora, purtroppo, presente in tutti gli ambiti accademici, tra cui quello scientifico. Anche nel mio campo a condurre questo tipo di studi siamo davvero pochissime donne.
Che cosa ti porti a casa da questa vittoria?
Ho sempre creduto molto nel progetto e speravo che venisse apprezzato anche dalla giuria. Con questa vittoria mi porto a casa diverse cose: l’aver potuto conoscere le altre cinque scienziate premiate (Arianna Renzini, Francesca Berti, Gloria Del Fanti, Martina Ilaria Fracchia e Alice Borghese) che, seppur provenienti da diversi ambiti, condividono le stesse emozioni e sensazioni sul nostro ruolo di donne impegnate nella ricerca. Oltre a questo, mi porto a casa la possibilità di realizzare un progetto che (spero) abbia un impatto sociale positivo.
Hai qualche altro progetto in cantiere che puoi raccontarci?
Si, sto lavorando allo studio di alcuni prodotti nel settore tessile, in particolare su composti potenzialmente tossici/cancerogeni che potrebbero essere contenuti in certi capi di abbigliamento. Inoltre, mi sto occupando della tracciabilità e dell’autenticazione di prodotti agro-alimentari tramite metodologie analitiche che accoppiano tecniche non distruttive a strumenti chemiometrici (ndr una branca della chimica che studia l’applicazione dei metodi matematici o statistici ai dati chimici).