Tre aree sensibili, in cui le donne faticano a farsi valere, sono state passate ai raggi X da una ricerca che si chiama Inside the Gap, il divario di genere nel mondo del lavoro e che punta a capire, in modo molto concreto, cosa resta da fare per eliminare i divari tra donne e uomini. A realizzarla è stata la startup universitaria IDEM/Mind the gap, che supporta le aziende nel costruire parità di genere, e SheTech, ente no profit che vuole portare la parità di genere nel mondo digital e tech. Il report, costruito su un campione di 789 persone, di cui 634 donne e 155 uomini, ha sondato l’area della retribuzione e della negoziazione, quella dello sviluppo professionale e quella della gestione del tempo. Ne parliamo con Silvia Fanzecco di She
Tech, che ha seguito il Report.
Qual è il dato che vi ha colpito di più?
Parto da un dato, dolente, generale: gli uomini escono decisamente più soddisfatti dalle negoziazioni aziendali sul pacchetto retributivo di quanto succeda alle donne; il 65% degli uomini ha un giudizio almeno positivo dell’esito della negoziazione, contro il 46% delle donne. Il report ci dice anche che, dopo l’orgoglio, le tre emozioni maggiormente provate dagli uomini sono, nell’ordine: felicità, gratitudine e serenità. E che, sempre dopo l’orgoglio, le tre emozioni maggiormente provate dalle donne sono, nell’ordine: rabbia, paura e tristezza. Personalmente, lo trovo un dato fortissimo, che deve fare davvero riflettere. Abbiamo appositamente voluto indagare le sensazioni delle persone rispetto al tema, perché secondo noi rappresentano un punto cruciale che viene poco indagato. Noi pensiamo che guardare alla realtà come ci viene raccontata dalle persone sia il primo passo per costruire qualcosa di concreto.
Secondo il vostro report, il 61,7% delle lavoratrici ha negoziato il proprio pacchetto retributivo, mentre lo ha fatto ben il 74,2% degli uomini. Si tratta di una discrepanza che – dato interessante – non si ritrova in area Tech, dove donne e uomini sembrano finalmente alla pari. Cosa pensare?
Penso che nelle aree dell’innovazione e della tecnologia le donne abbiano compiuto percorsi più simili a quelli degli uomini: le donne, per esempio, sono più allenate a chiedere anche in virtù del fatto che in ambiente universitario si sono già trovate a farlo. Ma penso anche che siano le stesse aziende tech a dare opportunità più eque a uomini e donne.
È ormai chiaro che le donne scontano ancora una certa difficoltà nel mettere sul tavolo il proprio valore. Sappiamo quanto incidano stereotipi, educazione, scarsa esperienza finanziaria.
Aggiungo che le donne dicono di non avere strumenti per avviare delle contrattazioni. Nella costruzione del report abbiamo ascoltato le intervistate. Ebbene, diverse lamentano proprio di non avere esperienza, conoscenza, di non sapere bene come fare. Molte dicono di aver paura di osare. Credo manchi proprio la cultura della negoziazione. Peraltro, le donne hanno una percezione del gap retributivo che lascia poco scampo alle speranze: l’85,6% delle intervistate ritiene che agli uomini venga in genere riconosciuta una crescita retributiva superiore a quella delle donne.
Possibili soluzioni?
Gli intervistati e le intervistate ritengono che, per ridurre il pay gap tra uomini e donne, servano maggiore trasparenza retributiva interna e comunicazione più chiara. Per le donne risultano molto importanti gli interventi legislativi, mentre per gli uomini occorre anche una nuova classe dirigente.
Ci sono credenze sulle donne che sono molto diffuse e radicate e che, perciò, finiscono per modellare i destini individuali. Il vostro report ne mette in rilievo alcune.
Tanto per gli uomini quanto per le donne, lo stereotipo sulle donne più diffuso è quello sul maggiore interesse femminile per la cura della famiglia. Seguono stereotipi legati alla maternità come elemento incompatibile con la carriera e pregiudizi sull’esistenza di lavori da uomini e da donne. Tutti sono un freno potentissimo allo sviluppo delle carriere femminili.
In Italia, le donne manager sono solo il 28% del totale del management, la media europea è del 34%. Quando avete chiesto: credi che esistano ostacoli per le donne rispetto agli uomini nello sviluppo professionale, il 96% delle donne ha risposto senza esitazioni Sì. E gli uomini?
Anche gli uomini riconoscono che per le donne è più dura, anche se ad affermarlo è il 77% degli intervistati. Insomma, che la carriera femminile incontri più ostacoli di quella maschile è una consapevolezza ormai capillarmente diffusa. Il muro che le professioniste incontrano, lo sappiamo, è la maternità o, più estesamente, la conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli privati: praticamente il 70% delle intervistate dice che i ritmi di lavoro potenzialmente richiesti se si fa carriera sono difficilmente conciliabili per una donna con la dimensione privata.
E poi il 70% delle donne pensa che le donne non fanno carriera per via dello stereotipo secondo il quale le donne non sono adatte a ricoprire ruoli apicali.
Gli stereotipi fanno molti danni: spargono false credenze convincendo le persone che dicono il vero. Se per tutta la vita senti dire che le donne sono meno adatte degli uomini ai percorsi scientifici, finisci piano piano per crederci. Sono profezie che si autoavverano.
Nelle vostre attività incontrate molte giovani donne. Notate un cambio di passo rispetto alle generazioni precedenti?
Anzitutto, cogliamo una bella consapevolezza proprio sugli stereotipi di genere: le più giovani sanno bene cosa sono e come possono condizionarle. Bisogna dire che tutta l’attività che è stata finora fatta nel nostro Paese per smontare questi pregiudizi sta dando i suoi frutti. E poi il nostro report evidenzia che in sede di colloquio di lavoro, specie ragazzi e ragazze della Generazione Zeta mettono con tranquillità sul tavolo il work-life balance, la richiesta di flessibilità, i benefit, che diventano elementi imprescindibili del pacchetto retributivo. E parlano di denaro, stipendio, carriera attesa con molta più serenità, anche le ragazze: si attribuiscono un valore e rivendicano, proprio su questo, un riconoscimento adeguato. Anche in questo caso, sta funzionando l’attività di sensibilizzazione e formazione che è stata fatta sul territorio e on line.
A proposito di differenze generazionali, in Inside the Gap le lavoratrici over 54 dicono che nel loro percorso di carriera l’elemento portante è stato la determinazione e la passione; soprattutto le under 45 citano, invece, al primo posto soft skills e hard skills, le quali sono, invece, all’ultimo posto per le over 54. Come ve lo spiegate?
Sì, una interessante opposizione. Le donne più adulte hanno probabilmente fatto più fatica per affermarsi, dovendo dimostrare di fare il triplo degli uomini in termini di performance e determinazione per affermarsi. Le donne più giovani hanno giovato delle lotte di chi le ha precedute, in università hanno avuto accesso a molte più informazioni e stanno crescendo in aziende che stanno cambiando insieme a loro. Quanto alle hard skills, sono importantissime, ma si imparano. Le soft skills no, e sono oggi requisiti prioritari: in particolare l’empatia, la capacità di ascolto, quella di lavorare in team, di essere leader più che capi.