È seguitissima anche sui social e con il profilo @lhascrittounafemmina vuole dare voce alle scrittrici rimaste troppo spesso emarginate. Lunedì 14 novembre sarà ospite di Unstoppable Women
Carolina Capria è una scrittrice e attivista. Co-autrice, tra l’altro, di “Guida per bambine ribelli – Alla conquista del mondo che vogliamo”, Carolina, tramite i social e, in particolar modo, la pagina Instagram @lhascrittounafemmina, vuole incentrare l’attenzione sui valori che le donne portano nel mondo dell’editoria. Voci che sono rimaste per troppo tempo inascoltate, chiuse in cliché, pregiudizi e schemi che le hanno imprigionate senza potersi esprimere. “Oggi nel mondo dell’editoria prevale sempre la parte maschile. Pensiamo ai più prestigiosi premi letterari: quasi sempre sono vinti da uomini. Le donne, nel corso della storia, sono sempre state osteggiate e disincentivate. Per questo, da circa 15 anni, mi sono interessata ad alcune tematiche tra cui, in particolar modo, la disparità di genere, più strutturale che formale”. Abbiamo intervistato l’autrice che prenderà parte all’evento del 14 novembre di Unstoppable Women durante la Milano Digital Week all’interno degli Unstoppable talk: interviste, dibattiti e speech ispirazionali che mettono al centro le protagoniste della community e altri profili emergenti.
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Come è nata l’idea di creare un canale social che parlasse di donne nel settore editoriale?
Ho iniziato molto a parlare sui social di libri, soprattutto nel mio profilo Instagram @lhascrittounafemmina, incentrato sulla letteratura scritta dalle donne che non hanno mai avuto le stesse opportunità degli uomini e non sono mai state considerate per il proprio valore. Cinque anni fa ho deciso di aprire questo profilo in cui parlo di libri scritti da donne con un occhio attento a certe tematiche. Ad esempio, ultimamente ho trattato Alba de Cèspedes, grande intellettuale e creativa scrittrice troppo a lungo dimenticata pur avendo rappresentato la condizione della donna in anni difficili come quelli del fascismo e della Resistenza. Non veniva pubblicata da tantissimo tempo e Mondadori, di recente, ha ripubblicato le sue opere. Questo forte gender gap è molto sentito anche nell’editoria destinata alla scuola, settore di cui mi occupo principalmente, così come nella poesia: le donne non godono di fama e invece ce ne sono tantissime che vengono studiate soprattutto all’Estero, come Elena Ferrante che stiamo riscoprendo anche per il successo letterario che ha avuto fuori confine. Proprio a gennaio uscirà una nuova serie su Netflix basata sui suoi libri.
“Le donne non godono di fama ma ce ne sono tantissime che vengono studiate all’Estero”
Ti sei concentrata su un particolare periodo storico in cui non si è dato valore alle scrittrici?
Non ho un riferimento nel tempo e procedo per gusti personali; ho cercato di recuperare quello che il tempo ha cancellato; il tempo cancella molte donne dalla storia e, oggi, non siamo ancora in un periodo di rivalsa. Nell’800 molte scrivevano sotto pseudonimo perché un libro scritto da una donna non veniva letto da tanti; dal ‘900 la situazione è un po’ cambiata ma pensiamo, ad esempio, a Grazie Deledda: nonostante abbia vinto il Nobel nei libri scolastici non viene studiata. Abbiamo un problema a dare valore al talento.
“Abbiamo un problema a dare valore al talento”
Lavorando molto con le parole e la voce delle donne quello che provo a fare, nel mio piccolo, è spronarle e convincerle a parlare per non rinunciare a far parlare la propria voce.
Quale è, secondo te, il motivo di questo gender gap?
Ci sono sempre poche donne che si mettono in campo perché si sentono inadeguate in uno spazio che non è proprio. Io frequento molto le scuole e mi rendo conto della differenza tra ragazzi e ragazze, il ragazzo prende sempre prima la parola. E’ una cosa culturale: siamo abituate a non prendere spazio. Io non ho mai alzato la mano in classe perché avevo paura anche del giudizio estetico: quando si prende la parola si viene giudicate anche esteticamente. Un altro esempio pratico della differenza maschio/femmina già in giovane età è che si dice sempre alle bambine che sono timide; mai ai bambini.
“Si dice sempre alle bambine che sono timide; mai ai bambini”
Come è cambiato con le nuove tecnologie il tuo lavoro?
Ho scritto una quarantina di libri ma lavoro anche per progetti altrui. La grande differenza con la tecnologia l’ha fatto avere un contatto diretto con persone che prima non avevi; la possibilità di fare videocall e l’opportunità, in questo modo, di avere contatti con persone che non sono te e hanno un corpo diverso dal tuo. Conoscere più esperienze ti permette di raccontare. I social hanno fatto una grandissima differenza in questo senso, anche nel conoscere più da vicino le realtà per capire cosa piace ai ragazzi e quali sono le attività che li conquistano, sono tutte informazioni che oggi puoi avere. La pandemia, poi, ha accentuato alcune differenze: soprattutto i bambini piccoli sono frastornati ma poi si fanno andare bene le cose che gli raccontano gli adulti e si stanno adeguando ai nuovi modi di socializzare. Credo che tra qualche anno ci renderemo conto, in generale, di quello che hanno vissuto.
Quale è la tua mission e il messaggio che ti senti in dovere di comunicare?
Provo a raccontare e far passare l’idea di esprimere sé stessi. Ho cominciato a scrivere un po’ per caso perché ho partecipato a un concorso, amavo molto la lettura e volevo lavorare nell’ambito dell’editoria. Nel 2007 ho iniziato a lavorare mentre facevo la sceneggiatrice televisiva e da allora non ho mai smesso, ho sempre continuato a scrivere. L’interesse per la letteratura dei ragazzi è sempre stato molto vivo.
In cosa noti, in particolar modo, il gender gap?
Per la mia esperienza personale l’editoria è molto piramidale: io lavoro per lo più con donne perché la manovalanza femminile e le editor sono quasi tutte donne. Poi, se sali ai vertici i direttori e gli amministratori delegati sono tutti uomini.