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Datterini, Cuori di Bue, Costoluto, Ciliegini, davanti al banco dell’ortofrutta al supermercato c’è l’imbarazzo della scelta. Il pomodoro è forse il prodotto con più possibilità di scelta al momento della spesa, ma anche le mele sono moltissime, le pere, i kiwi. Per ogni referenza in vendita ci sono solitamente molte diverse tipologie e varietà disponibili, che si adattano un po’ a tutti i gusti. Ciò è qualcosa che il consumatore di oggi dà per scontato. Eppure nessun prodotto è frutto del caso, ogni diversa tipologia presente nel reparto ortofrutta è il risultato di ricerca e, nonostante i progressi scientifici abbiano reso più veloce il processo, solitamente occorrono molti anni per avere una nuova varietà. Cosa c’è dunque dietro il debutto di una nuova varietà, per esempio, di pomodoro?
L’innovazione varietale rende i prodotti più sostenibili
«Grazie alla genetica – ci ha spiegato Bruno Busin, Product Development Specialist Solanacee di Syngenta Vegetable Seeds – siamo in grado di sviluppare varietà d’interesse ottenendo nuovi ibridi, con caratteristiche migliori. Pomodori più saporiti, con colori più intensi oppure in grado di resistere a malattie e che soffrono meno la siccità. L’innovazione varietale ci ha permesso di sviluppare pomodori, in questo caso, ma vale per ogni coltura, più adatti alle esigenze del mercato e a soddisfare una richiesta mondiale di cibo maggiore. Ci ha dato anche pomodori più sostenibili». Il tempo medio per l’introduzione di una nuova varietà di pomodoro è di 5-6 anni, un procedimento lungo che affronta molti passaggi. E con la crisi climatica che incalza, il miglioramento varietale diventa essenziale. Sempre a proposito di pomodoro, la Sicilia sta affrontando una delle peggiori siccità di sempre e proprio la Sicilia è la Regione regina per questo ortaggio, in particolare per il consumo fresco.
Bruno Busin lavora in Syngenta da una ventina d’anni e da sette si occupa di solanacee, quindi anche di pomodoro. L’azienda è uno dei principali player mondiali dell’agritech ed è stata fra le prime ditte sementiere a nascere, la sua storia è lunga oltre 150 anni. «Per quanto riguarda il miglioramento varietale – ci ha raccontato ancora Busin – a cavallo degli anni ‘80 del secolo scorso, c’è stato un cambio di passo. Fino a quel momento le varietà locali erano tramandate per autoproduzione, si conservavano i semi che erano ripiantati. Le varietà erano le più disparate ma non riuscivano mai a raggiungere altre zone d’Italia né potevano essere esportate».
Quello che serviva per raggiungere altre regioni del Paese era stabilità di produzione e riconoscibilità, una richiesta che è arrivata soprattutto con l’affermarsi della GDO: «Queste varietà locali – ha continuato Busin – avevano produzione altalenante, shelf life spesso limitata, qualità non costante, spesso erano sensibili alle malattie. Erano varietà non adatte ad affrontare viaggi lunghi ed erano poco resilienti. Attraverso ibridazione si è lavorato quindi per creare varietà di maggior interesse e in questo modo, indirettamente si è anche promosso il Made in Italy».
Italia, un ruolo di primo piano per la produzione di pomodoro
In effetti l’Italia si distingue per la produzione di pomodoro, con quello da industria si producono passate, concentrati, sughi, mentre quello da mensa è consumato fresco. Secondo i dati dell’Eu Agricultural Outlook 2021-2031, la produzione europea di pomodoro, di entrambe le tipologie, si manterrà stabile fino al 2031. È di poco superiore ai 15 mln di tonnellate, con un’area investita che supera i 650.000 ettari. Il pomodoro da mensa in UE vale poco più di 5 milioni di tonnellate e il consumo medio per famiglia è di circa 15 kg all’anno. L’Italia è fra i principali produttori di pomodoro per il consumo fresco, assieme a Spagna, Paesi Bassi e Francia. Fra produzione in serra e a pieno campo, le tonnellate annue prodotte si aggirano attorno al milione. In particolare, in serra, si producono circa 500.000t annue.
L’innovazione genetica ha avuto un ruolo importante nella possibilità d’affermazione dell’Italia sul palcoscenico internazionale come produttrice di pomodoro: «Per avere un nuovo ibrido si lavora in ambiente confinato, si raccoglie il polline dal maschio che si trova in un ambiente distinto e distante. Il maschio selezionato ovviamente ha caratteri che ci interessano. Con un pennellino si spennella il fiore della femmina. I frutti della femmina saranno poi quello che in gergo si chiama un ibrido F1», ha spiegato ancora Bruno Busin a StartupItalia. I ricercatori riproducono quindi praticamente quello che avviene in natura con l’aiuto degli insetti impollinatori ma quello che cercano è una pianta figlia con determinate caratteristiche.
Che cos’è un nuovo ibrido di pomodoro?
«Selezioniamo i parentali migliori per caratteristiche e, attraverso incroci condotti con tecniche tradizionali, produciamo un ibrido F1, ma il lavoro non finisce qui. Le nuove varietà vanno testate. Io ricevo nella serra di Acate (Sicilia) 300 varietà dalle quali, passaggio dopo passaggio, arriviamo a 2, 3 varietà che effettivamente debutteranno sul banco del supermercato». Così Giovanni De Caro, oggi Product Placement Lead Italy di Syngenta Vegetable Seeds. De Caro è quindi responsabile della parte di ricerca e sviluppo per l’Italia. Lavora nella serra di Acate dove il focus è sul miglioramento genetico delle orticole. «Il lavoro d’incrocio e selezione è un lavoro pesante. Posso testimoniarlo dal momento che è così che ho iniziato in Syngenta, più di 15 anni fa. Devi andare fiore per fiore, prendere il polline, conservarlo in frigo e aspettare il giorno dopo per fare l’impollinazione, poi devi raccogliere i semi, pulirli e conoscere i trucchi per evitare che accidentalmente un maschio casuale impollini la femmina d’interesse».
La serra di Acate di Syngenta Vegetable Seeds è centro d’eccellenza per le orticole, con una superficie di 2 ettari: «La forza della sperimentazione è il fatto che lavoriamo direttamente con gli agricoltori – ci ha detto ancora De Caro. Sono loro a testare per primi le nuove varietà e a permetterci di capire punti di forza e di debolezza». Un tempo il processo di selezione era ancora più lungo. Oggi, con la possibilità di coltivare in tutte le parti del mondo, i ricercatori sono in grado di mettere in prova, a diverse latitudini, le loro varietà e di concludere il ciclo più velocemente. Fra le innovazioni che hanno fatto compiere un balzo in avanti alla ricerca c’è stata l’introduzione dell’utilizzo dei marcatori molecolari.
«Una volta sequenziato il genoma, in questo caso del pomodoro, abbiamo iniziato a lavorare, tramite biotecnologie con i marcatori molecolari. Questi permettono di identificare in quale parte del DNA di una determinata pianta in cui – ha continuato Bruno Busin di Syngenta Vegetable Seeds – è contenuto un carattere che per noi ha importanza: il colore, la forma, una particolare resistenza a una malattia. La genomica ha accelerato il lavoro di miglioramento varietale perché con tecniche di ibridazione si lavora in laboratorio per ottenere la pianta cercata». Purtroppo nel tratto di DNA che contiene il carattere d’interesse possono esserci molti altri caratteri: «L’equilibrio sta nel capire quali tratti sono di vantaggio e inserirli, senza però portarne con noi altri che potrebbero giocare a svantaggio». Avendo individuato e stabilizzato un ibrido pronto per il mercato, prima di arrivare effettivamente alla vendita ci sono fasi che riguardano panel test con esperti e consumatori e il lancio della nuova varietà.
La nuova tendenza nel pomodoro è la nutraceutica
Fra i caratteri che si cercano con più frequenza, restando all’interno dell’esempio pomodoro, ci sono resistenze a malattie o a minacce che arrivano dal meteo, come la siccità, piuttosto che caratteristiche di gusto, colore o pezzatura. Il consumatore certamente fa la sua parte nell’indicare ai ricercatori cosa cercare: «Guardando agli ultimi 20 anni di storia del pomodoro in Italia, si è passati – ha continuato Busin – dal quasi totale consumo di pomodori di grande pezzatura a pomodori piccoli. Oggi più del 50% del consumo è di pomodorini. Si guarda molto di più al gusto e al sapore, quindi al contenuto zuccherino del frutto. C’è poi il vantaggio che pomodorini, per esempio datterini, possono essere usati anche come snack. L’ultima tendenza in fatto di ricerca è l’attenzione alla nutraceutica. Selezionando si fa quindi attenzione al fatto che il pomodoro contenga licopene, antociani, sali minerali, vitamine ecc.».
Dal punto di vista delle malattie cui le colture devono resistere, un’avversità emergente per il pomodoro è il Tomato Brown Rugose Fruit Virus. Si tratta appunto di un virus che rende il pomodoro invendibile. Una volta entrato in serra il virus è molto difficile da combattere. Le perdite produttive possono arrivare anche al 70%. «È molto pericoloso. Oggi disponiamo di varietà di pomodoro a resistenza media e alta. Purtroppo però i virus, come abbiamo imparato con il COVID, mutano. Noi di Syngenta siamo quindi sempre impegnati a individuare nuove fonti di resistenza contro le prossime possibili varianti», ci ha detto ancora Bruno Busin, Product Development Specialist Solanacee di Syngenta Vegetable Seeds.
Dal Piccadilly a ‘iLcamone, quello vero’, l’innovazione varietale sullo scaffale
Oggi sembra impensabile preparare un’insalata senza il Cuore di Bue o fare un sugo senza il Piccadilly. Entrambe le tipologie devono molto a Syngenta. Il Piccadilly è molto famoso e ha come antenato il Piennolo Vesuviano: «Non avrebbe mai potuto trovare una diffusione nazionale, senza il miglioramento varietale», ha raccontato ancora Busin a StartupItalia. «Non aveva l’architettura per svilupparsi su larga scala, era poco produttivo e non aveva resistenze. Lo abbiamo reso resiliente agli sbalzi climatici, più produttivo e gli abbiamo conferito qualità costante. A vent’anni di distanza è ancora un segmento riconosciuto e riconoscibile sul mercato».
Un altro esempio interessante è ‘iLcamone, quello vero’, superstar delle insalate. La sua fortuna negli ultimi anni è andata crescendo. «È un pomodoro che Syngenta Vegetable Seeds ha introdotto circa 20 anni fa e che piace per la sua connotazione di colorazione e di gusto oltre che per il fatto che ha una elevata shelf life. Ha le tipiche striature verde intenso che lo contraddistinguono. Nel tempo aveva incontrato difficoltà sanitarie, le sue resistenze non erano più adeguate. Lo abbiamo migliorato quindi e ora è stato creato un brand, ‘iLcamone, quello vero’. Solo determinati produttori selezionati possono produrlo».
Dove va il futuro dell’innovazione varietale?
Creare un pomodoro di successo non dà garanzie sul fatto che questo successo sarà duraturo. Le condizioni di coltivazione cambiano rapidamente, arrivano nuove avversità da fronteggiare in campo e il consumatore muta i gusti altrettanto in fretta. Fra le prime selezioni per un nuovo pomodoro e il lancio sul mercato passano solitamente 5-6 anni, sono molti. Ancora più lungo è il tempo che occorre per un nuovo frutto: una nuova ciliegia, un nuovo kiwi, una nuova mela. Quando i ricercatori lavorano su alberi da frutto infatti va messo in conto il tempo necessario alla pianta per iniziare a produrre.
L’Intelligenza Artificiale sta aiutando i breeder a velocizzare alcuni passaggi, soprattutto passaggi quantitativi: «L’IA ci aiuta a predire i risultati del materiale che stiamo incrociando. Ci supporta – ci ha raccontato ancora Giovanni De Caro di Syngenta Vegetable Seeds – nello scegliere le linee parentali migliori, in fase di incrocio, per ottenere il risultato che ci stiamo prefiggendo. Raccogliamo poi moltissime informazioni che serviranno al reparto commerciale, cataloghiamo i frutti per esempio. Attraverso telecamere contiamo i frutti e stabiliamo i loro calibri. Le elaborazioni danno risultati statisticamente significativi ed è tutto lavoro che prima andava fatto a mano»
Dal punto di vista invece del processo di innovazione varietale in senso stretto, ciò che può permettere di accorciare in maniera significativa i tempi sono le TEA, Tecniche di Evoluzione Assistita. La regolamentazione per il loro utilizzo è attualmente in discussione a Bruxelles. Queste tecniche consentono di indurre mutazioni nel DNA di una pianta in un punto preciso e predefinito, andando a ottenere le caratteristiche cercate e senza introdurre caratteri non desiderati. Ciò viene fatto in laboratorio senza l’inserimento di nuovi geni nel DNA della pianta, cosa che distingue le TEA dagli OGM: «Le nuove varietà devono adattarsi più velocemente ai cambi climatici. La siccità non è un’ipotesi, è qualcosa con cui dobbiamo convivere. Con le TEA potremmo creare varietà più resilienti, piante con maggiore resistenza al caldo e al freddo, piante più produttive e con minore bisogno di trattamenti, in tempi più rapidi», ha concluso Bruno Busin, Product Development Specialist Solanacee di Syngenta.