Si era candidato per lavorare in Google, ma da Mountain View gli hanno risposto che serviva una laurea. Da un sobborgo di Stoccolma è partita così l’ondata che ha investito il comparto discografico. Il mito di Napster e di Sean Parker. «La gente vuole solo avere accesso a tutta la musica del mondo». Buon viaggio nella nuova puntata di “Vite Straordinarie – Ritratti fuori dal comune”
Arrivare prima di altri e fare la differenza. In fondo è questa la ricetta vincente di quegli innovatori che battono sentieri inesplorati per spingersi oltre, realizzando vere e proprio Vite Straordinarie. Certo, ci vogliono competenze specifiche, visione allargata, dedizione estrema, coraggio da vendere e una squadra che poi riesca a tirare la volata. Ma le storie che state per leggere e ascoltare su StartupItalia in questo mese di agosto racchiudono tutto questo e molto di più. Parte la rubrica estiva “Vite Straordinarie – Ritratti fuori dal comune” con le storie di Brian Chesky, Serena Williams, Daniel Ek, Elon Musk, Paul Graham, Sam Altman, Licypriya Kangujam, Maya Gabeira, Samantha Cristoforetti, Masih Alinejad, Jeff Bezos, Malala Yousafzai. Dal 7 agosto ogni lunedì, mercoledì e venerdì come cover story un longform scritto dalla redazione centrale di StartupItalia e con le firme di Alessandro Di Stefano, Chiara Buratti, Gabriella Rocco e Carlo Terzano. Ogni ritratto è accompagnato dalle illustrazioni di Giulio Pompei. E poi c’è un podcast da ascoltare con la voce del direttore editoriale Giampaolo Colletti. Leggi qui sotto la nuova puntata o ascoltala su Spotify. Per saperne di più leggi il pezzo di lancio.
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Ogni storia ha bisogno di un cattivo. Per Daniel Ek è stato Google. Era il 1998 quando questo giovane e talentuoso ragazzo svedese sceglie di candidarsi per un posto di lavoro nella brillante startup californiana. Obiettivo: costruire un motore di ricerca per il web. Anni dopo nelle varie interviste Ek avrebbe spiegato che Larry Page & Company gli hanno risposto un bel no e che avrebbe fatto meglio a ripresentarsi con una laurea in mano. Da quello stop nasce un go che ha fatto la storia. Così Ek decide di dare inizio alla sua vendetta costruendo un prodotto migliore di Google. Appassionato di computer da sempre, a 14 anni fonda la sua prima azienda di consulenza per creare pagine web. Non uno scherzetto: a ogni nuova commessa il compenso aumentava di migliaia di dollari, consentendo a Daniel Ek di mettere da parte un bel gruzzolo e ricercare così nuovi stimoli. Ma tutto questo avviene anni prima di Spotify, la Big Tech europea che ha rivoluzionato il settore musicale. Per alcuni, addirittura, lo ha salvato. Ma questa, in fondo, è un’altra storia.
Daniel Ek, le origini
Daniel Ek nasce nel 1983 a Rågsved, un sobborgo di Stoccolma, dove è cresciuto in una famiglia umile. La predisposizione per la tecnologia si manifesta già da bambino, quando mette le mani sul suo primo computer. Come studente non è stato mai facile da inquadrare all’interno dell’istituzione scolastica e forse è anche per questo che non ha mai finito il college che Google tanto gli aveva consigliato. Dopo essersi fatto le ossa tra i pionieri del web, a fine anni ‘90 decide di dare vita alla sua prima azienda di pubblicità online. E la chiama Advertigo. Google nel frattempo aveva acquisito YouTube, quel sito per caricare video online comprato per 1 miliardo di dollari con una delle prime storiche operazioni della Silicon Valley. Ma attenzione. Perché in questa storia la geografia gioca un ruolo importante. Ed è nel nord Europa che sarebbe successo di lì a poco qualcosa di epocale: niente più musica pirata, gli artisti sarebbero stati pagati in una logica win-win che oggi diamo per scontata. Ma all’epoca suonava un po’ come una sfida impossibile da affrontare. E ancora di più da vincere.
Nei primi anni Duemila Daniel Ek dimostra di essere un imprenditore precoce e di talento: Advertigo sarebbe rientrata in un’operazione che l’avrebbe portata nell’alveo di eBay. L’incarico di CTO in società tecnologiche rappresenta una breve parentesi nella sua carriera. Quando ripensa a quel periodo Daniel Ek cita sempre cosa e chi più di tutto hanno ispirato Spotify: Napster e il suo ideatore Sean Parker. Quest’ultimo tra il 2003 e il 2004 aveva intrecciato il suo destino con Facebook e Zuckerberg, contribuendo a rendere il gigante di Menlo Park quello che oggi è. «Prima di Napster il web era solo testo. Non era per nulla emozionante. Napster è stata la prima realtà a dimostrare che internet poteva essere altro», ha detto Daniel Ek. Sean Parker lo ha così ispirato a votare la sua vita a internet, qualsiasi cosa avesse voluto dire questa generica frase per un adolescente negli anni Novanta. Insieme all’altro co-fondatore di quella che sarebbe diventata Spotify, Martin Lorentzon, discute sul mercato musicale del nuovo millennio, partendo da una considerazione banale quanto mal sopportata dalle case discografiche: Napster e tutte quelle piattaforme online, dove si scaricava musica illegalmente, rappresentavano la modalità preferita delle persone per ascoltare i loro brani preferiti.
Napster ha cambiato tutto
Ma attenzione. Il problema non era lato consumatori, bensì lato aziende. Le case discografiche avevano un modello di business che ripudiava lo streaming e la pirateria. Erano senz’altro riuscite a bloccare e fare chiudere Napster, ma quel tipo di servizio aveva fatto innamorare le persone ed era dunque solo questione di tempo prima che qualcuno raccogliesse di nuovo la sfida titanica per battere finalmente Golia. «La gente – ne era convinto Ek – vuole solo avere accesso a tutta la musica del mondo». Prima di Spotify c’era iTunes, la libreria che Steve Jobs aveva creato per infarcire i primi iPod di brani da lanciare in tre soli click. L’innovazione stava iniziando a galoppare, ma Daniel Ek voleva qualcosa di altrettanto ambizioso: tutte le canzoni (tutte quante) disponibili in tempo zero, regalando una sensazione mai provata alle persone. Forse non è affatto un caso il fatto che Spotify sia nata in Svezia: Daniel Ek ha ribadito che alle origini Spotify ha potuto contare sulla banda larga diffusa nel Paese. Segno dunque che l’infrastruttura tecnologica è da sempre un abilitatore decisivo. Se manca, tutto è più tremendamente difficile.
Spotify è stata lanciata nel 2008 in Europa e inizialmente poteva contare su 20 milioni di canzoni, titoli per i quali la startup pagava le licenze alle case discografiche. L’arrivo negli Stati Uniti è datato 2011. Fa un certo effetto sapere che Sean Parker è stato uno dei primi a investire in quella startup nel 2010, dando il via a una serie di round che avrebbero portato la società alla quotazione in Borsa nel 2018 (sfiorando i 30 miliardi di valutazione). In tutti questi anni Spotify è diventata una certezza, un’abitudine quotidiana per milioni e milioni di persone nel mondo. Non soltanto per la musica, ma anche per l’industria dei podcast (l’azienda si è aggiudicata l’esclusiva di The Joe Rogan Experience, uno degli show più seguiti e discussi del pianeta).
Daniel Ek ha sempre cercato di trasmettere anche l’importanza della musica per il benessere delle persone. Potrebbe essere dunque questo il collegamento tra Spotify e la sua ultima startup, Neko Health, che attraverso un body scan punta a valutare lo stato di salute dei pazienti. A luglio ha raccolto il suo primo round da 60 milioni di euro. Come tanti altri Ceo delle Big Tech, anche l’ex ragazzo svedese mai voluto in Google per quella laurea mancata conosce al meglio il mercato. Ed è da lì che riparte ogni volta. «Mettete al centro i vostri consumatori e ascoltate ciò che dicono. Non ciò che vi dicono».