Anche se è piuttosto evidente che le reali preoccupazioni per la privacy dei cittadini e la sicurezza nazionale sono avviluppate in una matassa indistricabile con preoccupazioni di carattere commerciale e economico non c’è dubbio che la scorsa settimana la guerra dei dati tra USA e Cina abbia fatto segnare un’escalation significativa.
Scoppia la guerra dei dati?
Il 28 febbraio il presidente americano Joe Biden ha, infatti, firmato un ordine esecutivo con il quale mette nero su bianco una lunga serie di preoccupazioni circa il rischio che Governi stranieri – Cina e Russia in testa – possano mettere le mani su dati personali, specie di carattere sanitario e finanziario dei cittadini americani e detta una serie di misure che dovrebbero valere a attenuare questo rischio.
E il successivo 29 febbraio, attraverso il suo Dipartimento per il commercio estero, lo stesso presidente Biden ha rincarato la dose, lanciando un’indagine, per ora di carattere conoscitivo, per esplorare i rischi connessi alla crescente diffusione, sulle strade americane, di veicoli connessi (insomma le auto smart) di fabbricazione cinese.
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«Non ci vuole molta immaginazione per pensare a come un governo straniero con accesso ai veicoli connessi possa rappresentare un serio rischio sia per la nostra sicurezza nazionale che per la privacy personale dei cittadini statunitensi», ha dichiarato il ministro del Commercio americano Gina Raimondo nell’annunciare l’avvio dell’indagine.
L’una e l’altra iniziativa rispondono, certamente, anche a preoccupazioni che poco o nulla hanno a che vedere con la privacy e con la sicurezza nazionale e che sono, invece, legate a doppio filo a istanze protezionistiche dei mercati nazionali e guai, naturalmente, a dimenticarsi, della campagna elettorale in corso negli Stati Uniti.
Dovremmo preoccuparci anche noi?
E, tuttavia, non si può neppure sottovalutare la portata delle questioni che la Casa Bianca si sta ponendo e sta, inesorabilmente, ponendo al mondo essendo di tutta evidenza che le stesse preoccupazioni alla base delle due recenti iniziative di Washington valgono per le cose di casa nostra, per l’Europa e per l’Italia.
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Non sorprende che chi, come gli Stati Uniti, proprio grazie alla raccolta massiccia di dati personali realizzata attraverso i propri campioni digitali negli ultimi vent’anni ha conquistato una posizione di straordinaria potenza geopolitica, oggi, davanti all’avanzare di campioni digitali stabiliti in Paesi diversi si preoccupi prima e, forse, più degli altri della sostenibilità degli scenari prossimi venturi.
Dovremmo condividere anche noi le stesse preoccupazioni e correre ai ripari alla stessa maniera o, le regole che ci sono, a cominciare da quelle europee sulla privacy e dalle tante altre contenute nel Digital service act e nell’AI Act prossimo venturo bastano a garantirci che i rischi che preoccupano tanto il Presidente americano – e che in Europa potrebbero essere amplificati dal fatto che la quasi totalità dei mercati digitali basati sui dati che contano sono in mano a soggetti extra-europei – stiano lontano dai confini del Vecchio continente?
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Inutile provare a rispondere a una domanda tanto complessa in una manciata di righe ma indispensabile porsela e seguire con attenzione le conclusioni alle quali si arriverà dall’altra parte dell’oceano.
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