Permette a chi lavora da remoto di poter conoscere altri professionisti
Un Tinder dedicato ai professionisti. WorkMate, l’app ideata dal team di Luca Cubeddu, Business Design e Digital Transformation, Roberto Carta, Software Engineer e Anna Satta, Innovation Engineer, si è aggiudicata il secondo posto dell’hackathon “Accesso Remoto – Lavorare, formarsi e connettersi oltre la presenza fisica”, promosso da Innois e organizzato da Open Campus. WorkMate, premiata per la sua innovatività e fattibilità con 2.000 euro, è un’app che, tramite la geolocalizzazione, permette a professionisti che lavorano da remoto di lavorare assieme ad altri remote workers presenti nella stessa area, al fine di condividere esperienze e, magari, anche spazi di lavoro, oltre a facilitare il confronto.
WorkMate, come funziona il Tinder del lavoratore
“WorkMate è nato da un’esigenza personale del team. Tutti e tre ci siamo trovati a lavorare da soli in un settore dove, invece, è necessario avere a che fare con i colleghi. Lavorare anche per 10 ore attaccati al PC senza parlare con nessuno non è il modo migliore per portare avanti i progetti. WorkMate ha preso vita, quindi, con l’intento di connettere i remote workers. Si tratta di un’app che, tramite la geolocalizzazione, permette agli utenti di potere visualizzare su una mappa altri professionisti che si trovano nelle vicinanze, filtrando i potenziali nuovi colleghi per area di impiego e lingua parlata. Gli utenti sono loggati a WorkMate tramite LinkedIn: questo perché non vogliamo che WorkMate diventi una dating app ma esclusivamente un mezzo di confronto e contaminazione di conoscenze ed esperienze professionali. Dopo l’iscrizione, l’utente specifica il lavoro che svolge e le fasce di orario nelle quali è disponibile al confronto. In base al match effettuato dall’app, l’utente puo’ decidere se aprire o meno la chat e mettersi in contatto con altri lavoratori”. Un progetto, in attesa di validazione, che nasce in Sardegna ma che è replicabile e scalabile ovunque.
Lavorare in Sardegna secondo WorkMate
Il team di WorkMate, come già accennato, di remote working ne sa qualcosa. “Sia io che Roberto manchiamo da 10 anni dalla Sardegna; abbiamo lavorato da remoto in giro per l’Europa e per l’Italia ed entrambi abbiamo sperimentato il lavoro in solitudine. Il confronto con gli altri, soprattutto nel nostro campo, è assolutamente necessario per crescere sia a livello personale che professionale. A fronte delle nostre esperienze, siamo tornati in Sardegna. Io, inizialmente, in vacanza, ma poi ho deciso di lasciare Milano, dove lavoravo, e trasferirmi qui. Roberto, invece, viveva a Berlino ed è arrivato in Sardegna a settembre. Abbiamo lavorato tutti in Open Campus, dove abbiamo conosciuto Anna che, oggi, lavora in remoto da Roma. Non ci aspettavamo di vincere l’hackathon e questo premio ci rende molto orgogliosi. Impiegheremo questa cifra per la validazione del nostro prodotto nel mercato. Lato team, integreremo, prossimamente, nuove figure soprattutto nel comparto Marketing e software per allargare la community”. Luca è un architetto che ha lavorato per lungo tempo nel settore dell’arte, poi degli eventi corporate e, infine, ha capito che i processi erano, in realtà, il settore a cui più era interessato. Da allora, si è dedicato alla trasformazione digitale e al business design. “Lavorare in Sardegna è bello anche se ci sono oggi delle difficoltà infrastrutturali ma si percepisce una spinta verso la creazione di un circolo virtuoso e la creazione di un nuovo ecosistema“.
“Questa app lavorerà a pieno regime appena usciremo dalla pandemia – afferma Alice Soru, CEO di Open Campus – E’ pensata per le tribù di nomadi digitali e per coloro che riprenderanno il lavoro da remoto spostandosi tra diverse zone d’Italia. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria, in molti stanno sperimentando il remote working e il distance learning, talvolta persino abbandonando le grandi città e tornando nelle regioni del Sud Italia, dando vita ad una trasformazione della geografia del lavoro, nella quale si perdono i concetti di centro e periferia. Per questo siamo molto fieri dei progetti ideati dai ragazzi in questo hackathon, poiché portano soluzioni concrete a quello che probabilmente sarà il nuovo modo di intendere il lavoro”.
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Nuove geografie del lavoro: lo studio di Open Campus
L’hackathon proposto da Open Campus nasce dall’indagine “Oltre lo smart working: la nuova geografia del mercato del lavoro”, svolta da Open Campus su un campione di 150 lavoratori sardi, sia pubblici che privati, che ha rilevato che il 32% del campione ha scoperto lo smart working con la pandemia e il 70% intende proseguirlo anche ad emergenza rientrata. A sottolineare i lati positivi del lavoro da remoto sono soprattutto i laureati (80%) operanti nel settore dell’informatica, dell’ICT e della comunicazione, che annoverano tra i vantaggi una riduzione dei tempi e dei costi, mentre il 30% denuncia la mancanza di strumenti adatti al coordinamento del lavoro agile.
Proprio per questo, Open Campus, nel suo percorso di formazione, ha previsto un intero corso dedicato al Distance Management, che si occuperà di formare i manager ad identificare gli elementi chiave, le potenzialità e i limiti del remote working, imparando ad adeguare, organizzare e gestire il lavoro dei team che operano da remoto per raggiungere gli obiettivi aziendali. Il south working oggi riguarda circa 45mila lavoratori ma è destinato ad aumentare. Il 31% degli intervistati, infatti, si dichiara disposto a lavorare per aziende la cui sede è lontana – persino in uno Stato diverso – dal luogo in cui vive. “Sono numerosi i territori che potrebbero trovare nuova vita grazie al remote working. In Italia, oltre 3.000 borghi sono a rischio abbandono, ma con soluzioni tecnologiche adeguate e un’inversione di tendenza rispetto all’urbanizzazione forzata potrebbero accogliere i lavoratori dalle città e diventare oggetto di progetti di valorizzazione e riqualificazione”, conclude Alice Soru.