Ha fatto tappa a LUISS Enlabs, a Roma, l’ingegnere che ha inventato il microprocessore (forse il primo), rimasto però sconosciuto per ragioni militari. Per molti la sua diffusione avrebbe anticipato la rivoluzione IoT di decenni
Cosa vi ricorda il nome Maverick? Uno dei più celebri film d’azione sulle battaglie nei cieli tra USA e URSS negli anni Ottanta, ha come protagonista un microprocessore. O meglio, non uno a caso, ma l’MP944, il cuore pensante degli F-14 guidati da Tom Cruise e Val Kilmer e inventato da Ray Holt. Proprio Ray Holt, quello i cui studi, successi e meriti sono stati oscurati da oltre 30 anni di segreto militare. Lo stesso Holt che in questi giorni è in Italia per una serie di incontri in cui per raccontare come ha dato l’avvio alla prima trasformazione digitale di sempre, quella degli aerei da guerra, e come posto le basi dell’Internet of Things. Il suo tour italiano ha toccato anche LUISS ENLABS, dove ha anche incontrato alcune delle startup hardware accelerate negli spazi di via Marsala 29/h, quelle che lavorano con l’IoT come Powahome, Intime Link, RevoTree, Quakebots.
L’MP944
L’MP944 è il microprocessore che ha permesso la trasformazione digitale del controllo di volo, che grazie ad esso passò dal comando meccanico a un controllo digitale e a una elaborazione dati in tempo reale ben più avanzata: grazie ai sensori, ne elaborava i dati in hardware dando in tempo reale risposte. Era un controllo locale, non remoto, in digitale: un cruscotto operativo a prova di futuro. Proprio quello che ha permesso al F-14 di Top Gun di vincere la battaglia decisiva.
Cosa sarebbe successo se…?
La narrazione dell’ingegnere per caso, come ama definirsi Holt, si snoda come una sorta di racconto ucrònico (racconto basato su dati ipotetici o fantastici, NdR) cosa sarebbe accaduto se invece di tenere il microprocessore secretato per oltre 30 anni, fosse stato liberamente accessibile dal mercato?
Holt, nella biografia scritta insieme a Leo Sorge…
«La rivoluzione digitale dell’Internet delle cose a stato solido sarebbe venuta prima, rispetto alla rivoluzione dell’home e personal computer, eclissandone la necessità e lo sviluppo che ne è seguito. Tutto il settore avrebbe seguito questo percorso e oggi tutto il lavoro di elaborazione dati verrebbe fatto su terminali o workstation tenute in ufficio o in luoghi simili a coworking. Non ci sarebbero nemmeno gli smartphone, che sono l’evoluzione miniaturizzata del concetto di personal computer. Avremmo controlli domestici e sanitari molto superiori agli attuali; robot, droni e automobili intelligenti farebbero parte della quotidianità; esisterebbe una struttura diffusa sul territorio per la fabbricazione locale di oggetti singoli. Probabilmente non avremmo Internet per tutti, nemmeno il web».
L’IoT del futuro
Siamo sicuri che questo microprocessore avrebbe stravolto la nascita e lo sviluppo di Internet e del WEB? La risposta non è univoca ovviamente: forse sì, probabilmente no, ma
certamente avrebbe dato un forte impulso all’Internet of Things, che avrebbe avuto buone chances di arrivare 50 anni prima
Quello che è certo, invece, è che partendo da quel lontano microprocessore, l’Internet delle cose ha cambiato e sta cambiando il modo di fare innovazione. Anche tra le startup. Numerosi infatti sono i progetti di startup hardware, che utilizzano proprio l’Internet delle cose, sempre più necessari in contesti come le smart cities, o in agricoltura, dove è di vitale importanza razionalizzare risorse preziose come l’acqua. Certamente rispetto alle “sorelle” di Software, le Startup hardware non sono moltissime: indice del fatto che l’IoT è anche un ampio campo aperto alle sperimentazioni. Molti sono gli spazi e le applicazioni possibili, pronti per essere sfruttati, e chissà che l’esempio e lo spirito pioniere di Ray Holt non possa inspirare.