C’è un laboratorio in Sud Sudan, tra fucili e bombe, che stampa protesi in 3D. Aiuta le persone, come Daniel, che hanno perso alcuni arti a causa della guerra sanguinosa che martoria la regione. Il loro mantra: «Help one, help many».
Ci sono storie che sono talmente belle da non sembrare vere. Come quella che mette insieme un giovane ragazzo di 16 anni, Daniel, un paese martoriato dalla guerra civile, il Sud Sudan, un progetto generoso e innovativo, il Not Impossible Lab, e una tecnologia capace di regalare una speranza (e più di un arto), la Stampa 3D.
Un laboratorio tra fucili e bombe
Il primo capitolo di questa storia inizia nel 2013, qualche giorno prima della festa del ringraziamento. Mick Ebeling, uno dei più importanti produttori esecutivi degli Stati Uniti e founder del progetto Not Impossible Lab, parte per il Sud Sudan, il più giovane stato dell’Africa. Un territorio che, negli ultimi decenni, è stato teatro di sanguinosi conflitti e che non riesce, nonostante l’indipendenza ottenuta, a liberarsi dagli spettri della paura e della morte.
Mick raggiunge un ospedale costruito vicino alle montagne di Nuba, uno dei luoghi più suggestivi dell’Africa centro-orientale. Al suo interno, grazie all’impegno e ai fondi dei filantropi di Not Impossible Lab, è nato un laboratorio di stampa 3D. Macchine e tecnologie innovative in mezzo a fucili, proiettili e bombe. Un laboratorio nato con una missione: costruire delle protesi per chi è rimasto involontariamente mutilato a causa della guerra. Se ne contano più di 50.000 e tra loro molti sono bambini.
Ed è quello che è successo anche a Daniel Omar, a soli 14 anni. Il suo villaggio è stato investito dalle bombe che gli hanno portato via entrambe le braccia. La sua casa è stata spazzata via per cui, fino all’arrivo di Mick, Omar ha vissuto in un campo profughi chiamato Yida. Con altre 70mila persone. Poi sono ricominciati gli scontri, nella regione meridionale del Kordofan, che hanno portato ad un altro necessario spostamento.
The Daniel Project
Mick e il suo team non hanno perso tempo. Non appena l’aereo privato è atterrato in Sud Sudan hanno scaricato le scatole, assemblato le macchine e iniziato a stampare. Alla fine del 2013, dopo giornate di lavoro intenso, Daniel ha ricevuto la prima versione di un braccio stampato in 3D, il risultato di quello che è stato chiamato “The Daniel Project”. Una protesi che gli ha permesso, dopo molto tempo, di tornare a mangiare da solo, senza ricorrere all’aiuto di familiari o amici. Un progetto che è diventato il simbolo di quello che Not Impossible Lab sta realizzando in Africa.
La trasmissione dei saperi
Dopo aver costruito su misura le protesi a Daniel e aver aiutato il dottor Tom Catena, uno dei pochi medici presenti tra le Montagne di Nuba, Mick ha deciso di costituire una sorta di scuola affinché i volontari locali e i semplici abitanti potessero imparare a stampare e assemblare le protesi in 3D. Un traguardo importante che ha permesso di fare un salto di qualità anche nell’ambito della riabilitazione e della pratica d’uso.
Lasciare il laboratorio in mani sicure ha permesso a Mick di tornare a casa sua, negli Stati Uniti. Poco tempo dopo, il team di stampatori “autoctoni” ha inviato le foto di altre due protesi stampate su misura. Alla fine del 2014, prima di un attacco al Mercy Hospital che ospita il laboratorio, la produzione di protesi era avvenuta con un eccellente ritmo: una a settimana. Un attacco mirato, vigliacco, voluto. Catena ha affermato che «Il bersaglio era proprio l’ospedale. Volevano demoralizzarci perché hanno capito che qui nasce l’unica cosa che può sconfiggere la guerra: la speranza. Beh, hanno sbagliato tutto». Fortunatamente i danni non sono stati ingenti e il lavoro è ripreso con rinnovata energia.
Il video più ispirante del mondo
Sì, forse questa è un’esagerazione. Eppure è difficile non ricevere una carica speciale dalla storia di Daniel, di Mick, del Sud Sudan e della Stampa 3D. E come dice il fondatore di Not Impossible Lab: «Noi crediamo che questa storia possa innescare e incendiare una campagna globale. La diffusione dei progetti di queste protesi, totalmente gratuiti e open source, può determinare l’inizio, in tutte le nazioni del mondo, di una piccola rivoluzione positiva. Utilizzare queste nuove tecnologie permette di portare avanti la migliore delle intenzioni: risanare l’umanità».
Ora è tempo di vedere, per davvero, la bella avventura che abbiamo cercato di raccontare con questo post. Buona visione. E mentre lo guardate tenete bene a mente il mantra di Mick: “Help one, help many”.