La startup di Boyan Slat ha implementato una barriera galleggiane in grado di concentrare tutto l’inquinamento plastico e permetterne il recupero. Il sistema sarà impiegato nel Great Pacific Garbage Patch, uno dei più consistenti accumuli di immondizia marina al mondo
A guardare il volto di Boyan Slat, 22 anni, non si può fare a meno di pensare a quanto l’innovazione sia giovane. Nel senso letterale del termine. Se poi si aggiunge che la sua idea tecnologica per ripulire gli oceani dalla plastica è stata partorita quando lui aveva 16 anni, ci si convince che a volte l’esperienza conta, ma non è tutto in presenza di un’intuizione geniale. La storia di Boyan Slat è forse già nota perché The Next Tech se ne era già occupata nel 2015. Nel 2016, poi, avevamo dato conto dell’inizio della sperimentazione della sua idea. Si tratta di una barriera galleggiante in grado di filtrare l’acqua dell’oceano e catturare tutti i rifiuti plastici. La novità è che in questi anni Ocean Cleanup, la startup di Slat, ha raccolto 30 milioni di dollari ed entro il 2018 sarà finalmente operativa nel Pacifico.
La tecnologia di Ocean Cleanup
Slat ha sentito di dover pensare a qualcosa per la salute del mare durante una nuotata in Grecia nel 2011, quando si rese conto che a ogni bracciata incontrava più plastica che pesci. Rifiutò l’dea che si potesse fare poco per risolvere il problema se non incoraggiare una produzione ridotta di rifiuti e presentò una possibile soluzione durante un Ted Talk nel 2013. Da allora il suo progetto ha trovato appoggio economico e scientifico. Una delle aree più inquinate sulle quali andrà ad operare la tecnologia di Slat è la Great Pacific Garbage Patch, a metà strada tra le Hawaii e la California. È un’area che, a causa delle correnti oceaniche, è diventata un enorme accumulo di immondizia. Il progetto del giovane imprenditore olandese consiste in una serie di tubi lunghi uno o due chilometri che galleggiano sull’acqua e stazionano grazie a delle speciali ancore. La barriera così creata permette di circoscrivere la diffusione dei rifiuti in modo da facilitarne il recupero periodico da parte di navi. Tra le novità introdotte nel 2017 c’è la possibilità di non fissare ai fondali i tubi in polietilene, ma di utilizzare barriere a forma di U in grado di stare ferme alla deriva con delle ancore galleggianti.
Liberare l’oceano dalla plastica
La tecnologia punta a rimuovere 3 tonnellate di plastica alla settimana, ma i tempi potrebbero variare in base al successo dell’iniziativa, ai finanziamenti che si riuscirà ancora a raccogliere e alla capacità di riciclare a terra l’immensa mole di rifiuti che si recupera dall’acqua del mare. L’obiettivo è dimezzare l’inquinamento del Great Pacific Garbage Patch in cinque anni. Il movimento della barriera di Ocean Cleanup sfrutta le onde e non ha bisogno di fonti di energia esterne. Tutti i sistemi elettronici utilizzati vengono alimentati dall’energia solare. Il tutto è quindi è a impatto sero sull’ambiente. L’obiettivo di liberare definitivamente l’oceano dalla plastica entro il 2050 sembra lontano, ma raggiungibile se all’azione di Ocean Cleanup si assocerà un comportamento più responsabile di tutti nella produzione e nel riciclo di rifiuti.