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La piattaforma di Zuckerberg è vittima del fuoco incrociato di politici e osservatori. Ma gli USA restano la terra delle opportunità per chi difende la libertà d’espressione online
Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le invettive a favore di una maggiore regolamentazione di Internet e dei social network. È accaduto anche in Italia, con le uscite un po’ teatrali e senza grandi approfondimenti di alcuni politici in cerca di veloce notorietà. Ma è accaduto anche in USA, specie dopo l’audizione di Mark Zuckerberg al Congresso, assai a disagio nel controbattere alle domande incalzanti, tanto incalzanti da aver dato l’impressione di non avere gran bisogno di una risposta, di una politica democratica emergente: la ormai celebre Alexandria Ocasio-Cortez amichevolmente soprannominata da tutti AOC.
Come se non bastasse negli ultimi giorni è circolato molto, soprattutto in USA ma un po’ anche in Italia dove alcuni quotidiani online hanno deciso di tradurlo non senza qualche evidente compiacimento, un lungo discorso del comico Sasha Baron Cohen il quale ha messo in fila una lunga serie di invettive contro le piattaforme social e la loro rapida tendenza a corrompere definitivamente il mondo se qualcuno non deciderà al più presto di fare qualcosa. La più efficace frase di Cohen è stata: cosa sarebbe accaduto se Hitler avesse avuto a disposizione Facebook?
Tutti questi discorsi, le tirate su Twitter di politici in cerca di notorietà, le prese di posizione di esponenti dello show business, una vasta retorica giornalistica che basa ormai sul procurato allarme il suo più recente modello economico, sono riunite da alcuni tratti comuni. Una vasta plausibilità fattuale, in grado di attirare l’uomo della strada (locuzione che oggi potrebbe essere tranquillamente sostituita con “il popolo di internet”), una ubiquitaria e intenzionale vaghezza e superficialità, e un sottofondo reazionario indispensabile nel momento in cui le cose sembrano andare verso il peggio. A mali estremi – come si dice – estremi rimedi.
Si tratta del resto di una ricetta di sicuro successo, anche per questo in tanti sono interessati a iscriversi al movimento trasversale che intende occuparsi della fogna del web che deve essere in qualche maniera ripulita. Si tratta, contemporaneamente, di un tema che polarizza in maniera intenzionale questioni complesse e che chiede a gran voce a tutti di prendere posizione. Poiché mediamente la posizione invocata è semplice e intuitiva sgolarsi per argomentare il contrario sarà faticoso, esattamente come sarebbe stato faticoso per AOC attendere le risposte dell’imbarazzato Zuckerberg prima di passare alla domanda successiva. Del resto aveva pochi minuti di visibilità e intendeva tenerseli tutti.
Così per aderenza ad una certa idea di rapidità, senza la pretesa di convincere nessuno segnalo ai vari tribuni che si sono espressi in queste settimane una cosa che forse non sanno: nel Communication Decency Act americano del 1996, fortunatamente ancora in vigore, esiste un comma che si chiama section 230. Andatevelo a leggere se vi va: è la ragione per cui ancora oggi conviene avere una piattaforma di rete in USA piuttosto che altrove. C’è scritto, in quel capitoletto, che i gestori di piattaforma non possono essere ritenuti responsabili per i contenuti che ospitano. Perché se così non fosse la libertà di espressione in rete sarebbe definitivamente compromessa. Che è un po’ quello che domandano a gran voce tutti questi signori.