Il 2020 è stato un anno inedito: che ha costretto tutti a rivedere processi e approcci al mercato. Ma che ha distribuito i dividendi a chi aveva già investito nella trasformazione digitale
“Non abbiamo scoperto il digitale a marzo”. Lubomira Rochet, Chief Digital Officer di L’Oréal, è netta nel raccontare com’è stato fin qui il 2020 della sua azienda: che si è trovata ad affrontare un deciso cambio di paradigma per il proprio business. Nello stravolgimento delle nostre abitudini, e quindi anche delle nostre abitudini di consumo, c’era da fare fronte a un cambio di approccio nel modo in cui le aziende entrano in contatto con i clienti. “Era la nostra priorità da anni, abbiamo scelto le persone giuste per far parte del nostro team e per coinvolgere tutta l’azienda in una profonda trasformazione: oggi – ha spiegato alla stampa Rochet, nel corso di una conferenza stampa digitale – siamo una digital first company”.
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Dal punto vendita al touchpoint digitale
Che cosa è successo dunque fin qui: il lockdown, diffuso su tutto il pianeta, ha bloccato una macchina rodata e ha stravolto la logistica ma anche i comuni canali di comunicazione tra le aziende e i consumatori. Un tema molto delicato per chi, come una multinazionale del beauty, fa del marketing una leva importantissima per la propria strategia. Ancora Rochet: “La chiusura dei punti vendita ha messo alla prova la nostra capacità di restare in contatto coi clienti: per fortuna avevamo già acceso un secondo motore”.
Il manager dell’azienda francese fa riferimento, naturalmente, al digitale: un tema che sta a cuore da anni a L’Oréal come dimostra la sua stessa nomina a Chief Digital Officer, e come dimostra l’acquisizione di Modiface avvenuta nel 2018. Un’operazione che si è dimostrata decisamente lungimirante: “I servizi basati su tecnologia Modiface hanno registrato oltre 1 miliardo di contatti in questa fase – continua il manager – abbiamo investito nella visibilità del nostro marchio, investito sui nuovi media per aumentare la awareness della nostra presenza su quelle piattaforme”. Quell’investimento ha garantito oggi di distribuire i dividendi, per così dire: “Con l’e-commerce siamo riusciti a recuperare fino al 50 per cento del fatturato perduto a causa della chiusura dei negozi fisici: oggi l’e-commerce vale da solo il 24 per cento di tutto il fatturato di L’Oréal, con una crescita registrata in poche settimane pari a quella di molti anni precedenti messi assieme”.
Che cosa è successo, quindi? Si è materializzata una realtà su cui L’Oréal aveva già scommesso, forse in anticipo di qualche anno (o addirittura di qualche decina di anni): ma, come spesso accade in queste circostanze, chi ha investito e si è strutturato con uno sguardo rivolto al futuro si ritrova al posto giusto al momento giusto. E con gli strumenti giusti a disposizione. I consumatori si erano già abituati a contattare L’Oréal non solo nei punti vendita ma pure online, per chiedere consigli su prodotti e trattamenti: l’obiettivo a breve termine era offrire una esperienza sempre più personalizzata, con traguardi a medio-lungo termine che vedevano crescere più lentamente l’e-commerce. Dinamiche che si sono ribaltate, ora la priorità è far arrivare il fatturato dell’online al 50 per cento del totale entro i prossimi 3 anni: una sfida messa nera su bianco dalla stessa Rochet, con l’ovvio supporto di tutta la sua azienda.
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Le partnership di oggi e di domani
Un obiettivo ambizioso, dunque, che impone anche un cambio di strategia per rivolgersi al pubblico attraverso canali di comunicazione differenti. Per esempio, raggiungendo i consumatori dove passano già il proprio tempo online: in questo senso assume enorme importanza l’annuncio fatto proprio in questa occasione di un accordo raggiunto con Google che permetterà di integrare tecnologia L’Oréal direttamente nel search. Parliamo della possibilità di veder comparire strumenti AR (augmented reality) quando vengono cercate specifiche keyword, per esempio per provare in tempo reale una colorazione capelli o una particolare nuance di rossetto: un inedito, sono pochissime le circostanze in cui a Mountain View rendono possibili dinamiche simili, e sono tutte strategie pensate per costruire un percorso che accompagni l’utente.
Poi ci sono altri capitoli. Il social-commerce, ad esempio: che in certi settori ha garantito fino al 100 per cento di recupero del fatturato in flessione a causa del Covid (per esempio nel lusso), senza trascurare la capacità di raggiungere un numero enorme di utenti (potremmo quasi definirla “reach”, per restare in gergo da social network) grazie a una rete di content-creator e influencer costituita anche da addetti ai lavori e gli stessi dipendenti L’Oréal che sono anche tecnicamente preparati per offrire opinioni qualificate. “Questo sistema peer-to-peer – è l’opinione di Lubomira Rochet – può garantire incredibili ritorni. Non parliamo di testimonial famosi, parliamo di quelli che sono da sempre i nostri punti di riferimento nella vita reale: un amico, un makeup artist che avremmo incontrato in negozio, lo stesso tipo di relazione traslata online”.
Sullo sfondo c’è un tema che non può essere trascurato: da grandi poteri derivano grande responsabilità, dunque questa nuova padronanza di moli enormi di dati impone un approccio responsabile. “Fiducia, trasparenza e consenso”: sono queste le tre parole chiave secondo Lubomira Rochet su cui basare l’approccio digitale di L’Oréal, per costruire un modello in cui “i consumatori ci affideranno le loro informazioni, ma solo in cambio di un servizio realmente utile”. Questo equivale a dire, nel caso del beauty, offrire ad esempio lo spunto e l’idea giusta a trovare un look per un’occasione speciale (un appuntamento di lavoro, un appuntamento galante, un matrimonio?) al momento giusto: sempre tenendo la barra ben dritta sulla direzione fissata dal GDPR in termini di privacy.
E ci sono anche nuove frontiere da esplorare: il gaming, gli e-sport, sono un settore con potenzialità enormi spiega il manager L’Oréal, non solo perché ci sono moltissime gamer donne ma anche per la possibilità di creare nuove linee di business di look da vendere per modificare gli avatar. Per questo l’azienda è impegnata su molti fronti: su mercati specifici lavora con i player locali, ad esempio KakaoTalk in Corea o VKontakte in Russia, oppure a strategie puntuali come quella per il porta-a-porta digitale in Sudamerica o l’approccio centrato sull’e-commerce in un mercato molto avanzato su quel fronte come la Cina. Sempre con l’obiettivo, ambizioso, già anticipato di arrivare al 50 per cento del fatturato generato in digitale entro 3 anni: “Nel corso degli ultimi anni abbiamo iniziato a disegnare una nuova L’Orèal – ha concluso il Chief Digital Officer – e continueremo a farlo”.