La stanno sperimentando al Centro di Ricerche ENEA di Portici, nell’ambito del progetto Tripode. Obiettivo: studiare il comportamento delle piante in ambienti sotto stress per riuscire, in futuro, a coltivare anche in luoghi privi delle caratteristiche fondamentali per la crescita
Secondo i ricercatori dell’Università di Torino, il 2050 potrebbe rappresentare il punto di non ritorno per l’agricoltura. Infatti, se il clima dovesse continuare a cambiare, le piante del futuro potrebbero non essere più come le conosciamo oggi. Del resto, in tutto il mondo si moltiplicano gli studi e i tentativi di coltivare in maniera alternativa (in Giappone sta per essere inaugurata la Vegetable Factory, gestita esclusivamente da robot). Ecco perché il Centro di Ricerche ENEA di Portici – nell’ambito del progetto di ricerca Tripode, che vede coinvolti ENEA ed aziende private – ha appena avviato una nuova sperimentazione con l’obiettivo di riuscire a coltivare anche in ambienti privi delle caratteristiche fondamentali per la crescita. Il risultato è una serra hi-tech nata per studiare il comportamento delle piante in condizioni sfavorevoli, in ambienti chiusi e sotto stress. Come, ad esempio, all’interno di grandi fabbricati. Ma anche in situazioni estreme, come potrebbe essere il ventre di una navicella spaziale.
Serre spaziali made in Italy
Già da tempo, all’ENEA si studiano le possibilità di creare degli orti spaziali. Piante in grado di crescere nello spazio per fornire alimenti “freschi” nelle stazioni orbitanti del futuro, come il pomodoro Micro-Tom, una varietà capace di adattarsi alle condizioni estreme della Stazione Spaziale Internazionale. Sulla scia degli studi precedenti, con il progetto della serra hi-tech si è riuscito a ricreare un microcosmo in laboratorio, riproducendo fedelmente ciò che avviene in natura. Niente a che vedere dunque, con le vertical farm. «Si tratta di una ricostruzione su scala laboratorio di un campo coltivato in tutta la sua complessità, non solo un allestimento per fare produzione agricola – ci spiegano Carla Minarini e Luigi d’Aquino, responsabili del progetto – grazie alla quale si può studiare la crescita delle piante nelle condizioni più disparate».
Un microcosmo da studiare
La luce necessaria alla fotosintesi è garantita da un innovativo sistema di illuminazione a LED. In questo modo, è possibile effettuare una coltivazione “di precisione”. In pratica, viene fornita alle piante luce con lunghezze d’onda selezionate, invece dell’intero spettro solare. «Nei microcosmi di Portici troverai sistemi di coltivazione a doppio stadio (parte radicale e aerea gestite indipendentemente) in cui vanno molte meno piante – spiegano i ricercatori – ma in cui è possibile allevare anche piante più grandi e finanche piante legnose, “da frutto” per intenderci». Inoltre, grazie all’utilizzo dell’elettronica organica (OLED), i ricercatori potranno studiare gli effetti di questo tipo di ambiente sulla crescita e sulle qualità nutrizionali delle piante stesse.
Studiare le piante del futuro (e non solo)
Quali sono gli obiettivi finali dello studio? Come sottolineano gli scienziati, i test saranno utili per ricerche in numerosi campi della biologia come la parassitologia vegetale, l’ecofisiologia, l’ecotossicologia e l’ecologia tellurica. Ma, in realtà, «i microcosmi potranno essere impiegati non solo per fini di ricerca – precisano i due studiosi – ma anche per realizzare stazioni per fare produzione agricola in ambienti in cui in genere le piante non possono crescere». I cosiddetti “ambienti di coltivazione non convenzionali”. Come supermercati, metropolitane e, appunto, stazioni extraterrestri.