Il cambiamento nasce, sempre, dalle persone. Così l’azienda di Redwood City ha deciso di ripartire da una nuova generazione di tecnici e manager per innovare ancora in Silicon Valley (e non solo)
C’è una leggenda a Redwood City, nel campus che ospita la sede di Oracle, che riguarda il fondatore: una leggenda che poi proprio tale non è, visto che più volte è capitato di vedere Larry Ellison seduto allo stesso tavolo dei giovani sviluppatori a scambiarsi idee e soluzioni per modellare la prossima release del software che ha fatto la fortuna dell’azienda. Una leggenda che a ben vedere descrive al meglio lo spirito che si respira in questi giorni nel quartier generale di una delle grandi della Silicon Valley: la sensazione che si prova a parlare con chi lavora qui è quella di avere a che fare con chi sente di avere tra le mani una delle chiavi del nostro futuro. Una chiave costituita di AI e dell’entusiasmo di giovani appena usciti dall’università e reclutati per portare una visione nuova: ma che allo stesso tempo ha i piedi saldamente piantati in una storia di oltre 40 anni che consente mettere a fattor comune l’esperienza dei veterani coi nuovi arrivati.
Quello che sta succedendo a Redwood City lo si potrebbe raccontare in due modi: si potrebbe parlare della nuova tecnologia che viene inserita all’interno di prodotti consolidati e che ne esaltano le capacità, consentendo grazie al cloud e al machine learning di fare di più e meglio. Oppure, e forse è questo il modo migliore per rendere l’idea di quanto sta accadendo in California (e negli altri punti nevralgici di una multinazionale con un forte radicamento anche in Europa e Asia), si può parlare del modo in cui le persone che incontri in quegli uffici raccontano il cambiamento in atto: ci sono i capitani di lungo corso, a partire dal CEO Mark Hurd, ma soprattutto ci sono le nuove reclute che sono salite a bordo attirate dalla possibilità di cambiare il modo stesso in cui oggi è percepita Oracle dal pubblico. E che vogliono cambiare il mondo: cambiare il mondo un database alla volta, potremmo dire.
Il punto di partenza
Il quadro generale da cui partire è quello tracciato dallo stesso CEO: l’economia USA va bene, in altre nazioni c’è qualche rallentamento (la Cina e l’Europa soprattutto), ma nel complesso stiamo assistendo a un momento di consolidamento significativo del mercato cloud e delle piattaforme SaaS. “Il mercato delle app, anche se ancora frammentato, si sta polarizzando attorno ai vendor principali che ormai detengono percentuali del mercato di un ordine di grandezza superiore alle concorrenti – ha detto Hurd ai giornalisti nel corso degli Oracle Media Days – La dimensione di questi grandi vendor genera un cashflow tale da consentire di consolidare ulteriormente la piattaforma e gli investimenti per spingere ulteriormente la deframmentazione del mercato, con vantaggi per tutti”.
Di fatto, e ce lo dice anche il SVP del cloud Oracle Steve Daheb nel corso di una chiacchierata, l’iniziale diffidenza nei confronti della nuvola si è ormai dissipata: “I nostri clienti e partner non ci chiedono più se devono passare o meno al cloud: ormai è questione di come, non di se, ed è scontato che il viaggio verso la nuvola non sarà uguale per tutti e non tutto dovrà andare nel cloud da un giorno all’altro. Non è più neppure questione di spostare semplicemente i dati su cloud: la questione è cosa fare con questi dati, e gli strumenti a disposizione possono essere cruciali per il successo di alcuni tipi di business”. È iniziata la seconda era del cloud, e ci sono molte opportunità da cogliere da ambo le parti.