GOAL Robots è un progetto italiano che ha da poco conquistato il primo posto nell’ultima edizione della Call FET di Horizon 2020. La scommessa dei ricercatori è che i robot, seguendo le loro motivazioni intrinseche, acquisiscano informazioni nell’ambiente circostante. Informazioni potenzialmente utili in futuro.
Per il suo impatto sul pianeta Terra, l’uomo ha chiamato l’era geologica in cui vive Antropocene. Tuttavia, un po’ in sordina, qualcuno inizia a suggerire che senza dover aspettare migliaia di anni i nostri nipoti vivranno presto nel Machinocene, l’era delle macchine. Autonome, dinamiche, senzienti.
La loro evoluzione è resa possibile dalle centinaia di ricerche che ne stanno definendo comportamenti, funzioni e apprendimento. Tra questi, GOAL-Robots è un progetto italiano guidato da Gianluca Baldassarre presso il LOCEN (Laboratory of Computational Embodied Neuroscience) dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (ISTC) diretto da Rino Falcone e facente parte del CNR, in collaborazione con team tedeschi e francesi, che ha da poco conquistato il primo posto nell’ultima edizione della Call FET di Horizon 2020. Le menti impegnate a costruire il futuro dei robot sono Simona Bosco, Daniele Caligiore, Emilio Cartoni, Francesco Mannella, Valerio Sperati e Vieri Giuliano Santucci. Proprio con quest’ultimo abbiamo avuto l’occasione di approfondirne le origini ed i retroscena.
Le motivazioni che guidano l’apprendimento
Non possiamo che iniziare a parlare dell’uomo. Inizia tutto lì, nel nostro cervello di materia organica. Ciò che ci spinge all’azione è spesso profondamente connaturato alla sopravvivenza, a istinti basilari come cibo, riproduzione, difesa. Tuttavia, il quadro rimane ancora incompleto. Iniziarono a capirlo i ricercatori di psicologia comportamentale negli anni ’50 quando scoprirono che per gli animali coinvolti negli studi, come topi o scimmie, una semplice finestra aperta che offrisse una nuova visione del mondo era in grado di motivare abbastanza l’animale da spingerlo a ripetere l’azione.
Seppure non indispensabile alla vita, il piacere che ne derivava era capace di arricchirla con conoscenze e competenze potenzialmente utili. Stimoli simili furono chiamati motivazioni intrinseche, a differenza di quelle estrinseche che hanno effetti immediatamente correlati alla sopravvivenza.
Per spingere un robot a imparare, il problema è offrirgli proprio una motivazione, inscrivendo nel suo codice una serie di necessità. Potremmo quasi dire che, dietro formule matematiche e dati discussi attorno ad un caffè, ci stiamo professionalmente impegnando a rendere i robot inquieti, costantemente alla ricerca di nuove esperienze. E’ in quest’ottica che sono iniziate le ricerche che hanno portato al progetto GOAL-Robots.
Cosa ci insegnano gli studi comportamentali sui bambini
Grazie all’apprendimento impariamo a manipolare oggetti, a orientarci, a interagire con gli altri. I bambini lo fanno giocando, toccando con mano l’ambiente, acquisendone tutti i dettagli per soddisfare le loro necessità. Lo sanno bene i ricercatori del Laboratoire de Psychologie de la Perception di Parigi guidato da Kevin O’Regan che assieme ai gruppi di Jochen Triesch del Frankfurt Institute of Advanced Studies e di Jan Peters del Technische Universitaet Darmstadt sono anch’essi partner del progetto GOAL-Robots.
Le conoscenze che stiamo accumulando sull’apprendimento durante l’infanzia è una risorsa inestimabile per la ricerca robotica.
Inoltrandoci in questo campo finiamo per pronunciare una parola chiave, il cuore delle motivazioni intrinseche: la curiosità. Siamo curiosi quando ci troviamo davanti qualcosa di nuovo, oppure di inaspettato, fuori dal suo prevedibile contesto. La curiosità focalizza la nostra attenzione su tali elementi spingendoci ad accumulare nozioni utili a manipolarli e integrarli nelle nostre attività. I ricercatori del progetto stanno lavorando per convertire in algoritmo questa facoltà tanto umana, rendendo la curiosità una necessità in grado di trainare le attività del robot verso un continuo ampliamento delle proprie conoscenze.
L’effetto WOW che ci rende curiosi di approfondire diventa nel caso dei robot un valore misurabile, come l’errore di predizione. Si tratta di un principio già in uso (ma non l’unico) per guidare i robot nell’esplorazione dell’ambiente e per identificare, tra tanti, quegli oggetti o fenomeni da analizzare. Tuttavia, a differenza degli umani, per un robot ogni dettaglio merita la sua curiosità digitale. In qualsiasi posto, un robot finirebbe per essere sommerso da impulsi interessanti, incapace di focalizzarsi solo su quelli effettivamente utili. Ma utili a cosa? Al suo goal!
Robot che formano da sé obiettivi utili
Parallelamente allo “stimolo” indotto dall’errore di predizione, GOAL-Robots punta a sviluppare il processo di apprendimento offrendo loro una direzione, grazie ai goal appunto, l’obiettivo di un’attività. La scommessa dei ricercatori è che i robot, seguendo le loro motivazioni intrinseche, acquisiscano informazioni a caso nell’ambiente circostante e potenzialmente utili in futuro. Nel farlo finirebbero per formarsi obiettivi originali per riproporre gli effetti delle esperienze precedenti, diventando realmente autonomi e propositivi. Il percorso per raggiungerli sarebbe assolutamente open, frutto di strategie messe a punto dai robot stessi in maniera dinamica, imparando per prove ed errori. Con la novità che ogni robot acquisirebbe una conoscenza unica e originale, magari da condividere con i propri simili.
Ma quale sarà la sfida più ambiziosa del progetto? Che i robot siano capaci di concatenare le loro abilità, di trasformarle in attività complesse e articolate. Una prospettiva ancora difficile da formulare ma di cui progetti come GOAL-Robots stanno ponendo le basi, proprio qui in Italia.