Felfil Evo è il progetto di 4 eco-designer che aiuta i maker ad autoprodursi la materia per la stampa 3D usando scarti plastici e modelli mal riusciti. L’estrusore innovativo è attualmente su Kickstarter (dove ha già raccolto quasi 30mila euro).
Circa un anno fa incontrai i giovani eco-designer del Collettivo Cocomeri alla seconda edizione Maker Faire Rome. Mi presentarono il loro progetto, Felfil, tramite cui volevano consentire a chiunque di realizzare il filamento per la propria stampante 3D partendo da scarti plastici, modelli mal riusciti, imballaggi ed eventualmente anche da semplice pellet. Sei mesi fa li raccontammo su Startupitalia! sottolineando non solo l’estrema creatività del progetto ma anche la filosofia che lo guidava.
Oggi torniamo a scrivere ancora di loro. Alle soglie di un “goal” importante e, ancora una volta, all’indomani della loro partecipazione alla (terza) Maker Faire Rome. Sì, perché il progetto Felfil è cresciuto, si è evoluto diventando Felfil Evo: «Lo abbiamo mostrato per la prima volta al pubblico proprio in occasione della Maker Faire» dice Fabrizio Mesiano, uno dei founder: «A Roma abbiamo incontrato tanta gente anche quest’anno, entrando direttamente in contatto con il nostro pubblico. Ma tanti sono stati anche i curiosi che volevano informazioni ed è stato bello anche reincontrare persone viste l’anno scorso con la precedente versione di FelFil che ci avevano dato pareri e consigli e sono rimasti soddisfatti dall’evoluzione del progetto».
A chi si rivolge Felfil Evo
Felfil Evo è un estrusore di filamento plastico adatto alla produzione di bobine per stampare in 3D. «La grande maggioranza delle stampanti 3D in commercio utilizza una bobina di filamento plastico come una vera e propria cartuccia, sciogliendo man mano il filamento per ricreare l’oggetto desiderato» precisa Alessandro Severini, responsabile tecnico del progetto «Le plastiche più utilizzate sono PLA- di origine naturale – e ABS – il materiale di cui sono fatti i mattoncini del Lego – le quali hanno un valore sul mercato al di sotto dei cinque euro al chilo. Eppure, nonostante l’apparente economicità della materia prima, le bobine per stampare vengono vendute a cifre anche superiori ai 30€/Kg. Un problema non da poco per chi stampa con frequenza, ma anche per chi gestisce un FabLab o un hackerspace, dove le macchine vengono affittate a utenti diversi e sono spesso in funzione».
Felfil Evo promette di superare tutte queste difficoltà. Chiunque potrà infatti produrre autonomamente il filamento di stampa, utilizzando l’economico granulato industriale o riciclando vecchi oggetti stampati in 3D. «Una forma di approccio etico al mondo delle stampanti 3D» ricorda ancora Alessandro «Che potrebbe essere esteso a qualsiasi tipo di rifiuto plastico e che implica una nuova presa di coscienza rispetto al valore dei materiali impiegati e all’utilità del loro corretto riciclo».
Cos’è cambiato dalla prima versione
La caratteristica principale di Felfil, quella che lo ha fatto conoscere tra gli addetti ai lavori, è stata il fatto di essere un hardware totalmente open, autocostrubile e che utilizzava il 70% di componenti di recupero, semplici da trovare in tutto il mondo e veramente economici. Nato come progetto per le tesi di laurea, Felfil è stato scaricato da oltre 800 persone.
Partendo da questa ottima base, i ragazzi del Collettivo Cocomeri hanno costruito un progetto completamente rinnovato. Il nuovo estrusore sfrutta una scheda compatibile con Arduino per la parte elettronica, completa di display. L’utente potrà produrre filamento da 1,75mm o da 3,mm di Abs, Pla e ogni materiale la cui temperatura di fusione sia sotto i 300°, per poi stampare in 3D a costi estremamente bassi. L’abbattimento dei costi deriva sia dal notevole risparmio del materiale nuovo, sia dalla possibilità di riutilizzare il materiale delle stampe vecchie o imperfette a costo zero. Il plexiglass e la scocca di alluminio anodizzato, infine, hanno migliorato il prodotto anche dal punto di vista del design.
Abbiamo reso Felfil Evo un prodotto piacevole anche da guardare
Un “goal” annunciato
Per sostenere la produzione di Felfil Evo (in diverse soluzioni) è stata avviata una campagna crowdfunding su Kickstarter che, fin dagli inizi, ha dimostrato la bontà del progetto: «Sì, la campagna è partita molto bene» confida Fabrizio «Noi stessi, durante le prime quarantotto ore eravamo increduli dal successo e dal sostegno ottenuto. Il 50% dei fondi necessari è arrivato molto molto in fretta, ed ad oggi che mancano ancora una ventina di giorni alla fine abbiamo già raggiunto il 91% del goal. Tutta la community è stata molto recettiva e i commenti riguardavano dettagli del progetto o semplici complimenti per il lavoro svolto». Una parte consistente dei sostenitori e degli interessati arriva, per di più, direttamente dall’estero.
E anche per il futuro le idee sono abbastanza chiare «Questo 2015 è stato se vogliamo l’anno del setup del progetto, il 2016 dovrà e vogliamo che sia l’anno della conferma. Se la campagna avrà successo, come prima cosa dovremo iniziare la produzione “in serie” di Evo e inviarlo a tutti i nostri sostenitori. Già questa fase occuperà buona parte della prima metà dell’anno, per il resto abbiamo in testa tanti altri progetti che a tempo debito saranno svelati».
La storia del Collettivo Cocomeri (in breve)
Il Collettivo Cocomeri nasce nel 2011 all’interno del corso di EcoDesign del Politecnico di Torino. Inizia sviluppando progetti in ambito universitario occupandosi di design di prodotto, riqualificazione urbana, virtual design e video editing, per poi passare ad approfondire tematiche legate all’innovazione nel campo del design, il design per Componenti e il design Sistemico. È però nel 2013 che, sfruttando le competenze di cinque anni di studi sul Design, si avvicina al movimento maker iniziando lo sviluppo di progetti dedicati e acquisendo il know-how necessario direttamente sul campo.
Oggi il Collettivo Cocomeri progetta e autoproduce macchinari ad uso domestico per stampare in 3D riciclando la plastica presente in casa. Rilasciano, inoltre, tutti i progetti online attraverso una licenza open. Partiti dalle proprie tesi di laurea magistrale in Ecodesign presso il Politecnico di Torino, in collaborazione con il FabLab Torinese, i vari componenti hanno potuto proseguire nello sviluppo del progetto all’interno di TreataBit, il programma per startup digitali di I3P, incubatore del Politecnico di Torino.