Alla mostra Rinascere dalle distruzioni anche il tesoro rinato grazie a Tryeco 2.0. «Un lavoro eccezionale che permetterà un giorno la ricostruzione sul posto»
È basata a Ferrara, si definisce una creativemaker farm che unisce tradizione artigianale a nuove tecnologie, si chiama Tryeco 2.0, ed è una delle tre aziende italiane che si sono occupate della riproduzione dei tesori distrutti o seriamente danneggiati dalla furia iconoclasta dell’ISIS in Siria. Nel dettaglio Tryeco 2.0 si è occupata di far rinascere il soffitto del Tempio di Bel che, insieme all’Archivio di Ebla e al toro di Nimrud, sarà tra le opere protagoniste della mostra Rinascere dalle distruzioni, in programma al Colosseo dal 7 ottobre all’11 dicembre. Un’esposizione organizzata dall’Associazione Incontro di Civiltà di Francesco Rutelli, dal Comitato Scientifico presieduto dall’archeologo Paolo Matthiae (che ha portato alla luce la civiltà di Ebla) e dalla Fondazione Terzo Pilastro.
Il toro alato alla Maker Faire Rome 2015
Dopo il punto sulla mostra e l’incontro con Arte Idea, l’azienda di Ivano Ferrario che a Marino (Roma) ha ricostruito l’archivio di Ebla, abbiamo incontrato Roberto Meschini, uno dei soci di Tryeco 2.0. «L’avventura con la mostra è nata alla Maker Faire 2015. In quell’occasione abbiamo presentato il Toro Alato in partnership con WASP» azienda che inizialmente avrebbe dovuto occuparsi della ricostruzione delle opere. Un’ipotesi poi abbandonata.
Ricostruzione filologica e anastilosi digitale
Al Colosseo «portiamo la metà del soffitto del Palamos nord del tempio di Palmira (una porzione di 4,275 metri per 2,59). Un’opera difficile e complicata da riprodurre. Non c’era un rilievo. Di solito partiamo da un disegno in scala reale o comunque molto preciso. In questo caso siamo partiti da disegni dell’Ottocento e da alcune foto degli anni Novanta». Insomma, prima dello scanner e della stampante 3D, il team di Tryeco 2.0 se l’è vista con un percorso di ricostruzione filologica «prima la ricostruzione passo passo dell’epoca e della logica delle decorazioni. Poi abbiamo ricostruito l’opera e con le foto abbiamo rovinato, invecchiato, l’opera per portarla ai giorni nostri, prima della distruzione» spiega Roberto Meschini.
In questo senso molto aiuto è arrivato dalla supervisione degli archeologi. Frances Pinnok, docente alla Sapienza di Archeologia e storia dell’arte del vicino oriente antico, insieme a Cristina Acidini, storica dell’arte e scrittrice italiana, ha curato i dettagli della “rinascita” delle opere e il lavoro delle aziende. «Abbiamo scelto tre procedure diverse – ha spiegato Pinnok – in cui la stampa 3D è un elemento intermedio. Il primo elemento è stato un accurato studio scientifico. Abbiamo fornito a tutti e tre i laboratori piante, disegni, fotografie. Dopo questa prima ricostruzione si è proceduto all’elaborazione del modello 3D».
Digitale, bozzetti e la stampante 3D
Ma in che modo le macchine a controllo numerico e, nel dettaglio, stampanti 3D e scanner, hanno aiutato il team di Tryeco 2.0? «Abbiamo stampato prima i bozzetti – spiega sempre Roberto Meschini – poi abbiamo lavorato sui volumi, stampato un secondo bozzetto. Il digitale e la stampante 3D ci è servita per verificare i dettagli». Per Roberto quanto fatto in previsione della mostra «è stato un lavoro eccezionale per tutte e tre le opere. Anche perché s’è prodotta un’analisi delle opere stesse. Abbiamo modelli tridimensionali che ci permettono di ricostruire. Inoltre, la base scientifica che sostiene questa operazione permette non solo di ricostruire, ma di farlo sul posto. Insomma, si crea la base scientifica per ricostruire e si evita di andare “alla cieca”».