Sono solo tre le aziende nel mondo, tutte italiane, che si occupano di progettare caschi per i pazienti che soffrono di insufficienza respiratoria
Anche alla Dimar di Medolla, PMI in provincia di Modena, si corre contro il tempo per vincere il Coronavirus. La società, specializzata in dispositivi medici e tecnologie innovative per insufficienze respiratorie, ha aumentato di almeno il doppio, nel giro di pochi giorni, la produzione di caschi che isolano e aiutano i pazienti a respirare. “Questo casco nasce nel 1991, come interfaccia idonea all’uso in camera iperbarica, ma è nel 1999 che viene convertito in supporto respiratorio in ambito sanitario, in aiuto a coloro che soffrono di insufficienze respiratorie”, afferma Maurizio Borsari, titolare della Dimar di Medolla.
E solo solo tre le aziende nel mondo, tutte italiane, specializzate in questa produzione.
Come funziona il casco “antivirus”
Se questi strumenti sono sempre necessari in campo sanitario, durante l’emergenza Covid-19 la domanda è giunta agli apici. Anche perché, se somministrati tempestivamente con la terapia CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), i rischi di peggioramento del quadro respiratorio del paziente sarebbero ridotti e si eviterebbero alcuni trasferimenti in rianimazione.
Questo tipo di casco, principalmente, assolve a due funzioni: essendo sigillato all’altezza del collo del paziente, ne isola le vie respiratorie, prevenendo, quindi, possibili futuri contagi. Grazie all’immissione di ossigeno sterile al suo interno, allo stesso tempo, ne facilita la respirazione, migliorando il quadro clinico.
Leggi anche: Coronavirus, ecco l’unico stabilimento italiano che fa ventilatori polmonari
Abbiamo intervistato il dottor Borsari, ideatore della prima versione del casco, che ci ha spiegato come questo strumento sia utile a far fronte all’attuale emergenza e quale è situazione in cui versa, al momento, la Dimar di Medolla.
L’intervista a Maurizio Borsari
StartupItalia: Di quanto è aumentato il vostro volume di lavoro?
Maurizio Borsari: Almeno del doppio. Prima dell’emergenza producevamo circa 200 caschi al giorno. Da quanto è iniziata l’epidemia siamo arrivati a 500, ma la filiera produttiva e i relativi tempi di produzione si stanno allungando sempre di più, a causa della diffusione del virus anche tra i nostri collaboratori.
StartupItalia: Una volta pronti, i caschi dove vengono spediti?
Maurizio Borsari: Riforniamo gli ospedali che attualmente sono in situazioni critiche di emergenza.
StartupItalia: Alla luce della situazione attuale, avete assunto anche nuove figure nel team? Come sono cambiati gli orari di lavoro?
Maurizio Borsari: Sì, abbiamo avuto bisogno di nuovo personale. Gli orari di lavoro si sono molto allungati.
StartupItalia: La vostra produzione riesce a soddisfare la reale necessità del Paese?
Maurizio Borsari: Assolutamente no.
Maurizio Borsari, titolare Dimar
StartupItalia: Quali sono i vantaggi che il sistema sanitario trae dall’utilizzo del vostro prodotto?
Maurizio Borsari: Questi caschi coadiuvano il paziente in difficoltà respiratoria e, contemporaneamente, lo isolano dall’ambiente esterno.
StartupItalia: Quindi, con i vostri caschi si libererebbero alcuni posti in terapia intensiva?
Maurizio Borsari: La somministrazione tempestiva ed immediata della terapia CPAP con casco riduce i rischi di peggioramento del quadro respiratorio del paziente con conseguente necessità di trasferimento del paziente in rianimazione. Quindi, la risposta alla sua domanda è “sì”; si può dire che è un sistema che aiuta ad avere più letti a disposizione per i pazienti più gravi.
StartupItalia: Di quali altri strumenti hanno bisogno questi caschi per poter funzionare al meglio?
Maurizio Borsari: Fondamentalmente di un flusso continuo di una miscela aria/ossigeno e di sistemi per il controllo della pressione terapeutica.
StartupItalia: Siete gli unici in Italia a produrre questi macchinari?
Maurizio Borsari: Vi sono solo tre aziende al mondo specializzate in questa produzione, tutte italiane. Due di queste si trovano nel comprensorio biomedicale mirandolese e una, inferiore, in Lombardia.