Le API, accessibili ai Governi, saranno messe a disposizione con un aggiornamento automatico via Play Store. Ma ci sono dei limiti: sia per i dispositivi più datati che per quelli prodotti da Huawei o venduti in Cina da altri brand
La settimana scorsa Apple e Google hanno annunciato di aver unito le forze per mettere a punto, in breve tempo, un sistema per il monitoraggio e il contenimento del coronavirus attraverso il tracciamento sicuro degli utenti. C’è un gruppo di lavoro congiunto che sta progettando e valutando gli strumenti che sfrutteranno iPhone e smartphone Android per seguire anonimamente i nostri movimenti, tramite Bluetooth, integrarsi magari con le diverse applicazioni nazionali e avvisarci se e quando saremo entrati in contatto con un soggetto positivo. Facendo scattare le procedure del caso a seconda del contesto legislativo e sanitario.
Api pronte entro maggio
Entro il mese prossimo saranno pronte le API, cioè i diversi strumenti per facilitare lo sviluppo delle applicazioni da parte di governi e istituzioni sanitarie internazionali. Per cui questi soggetti potranno partire subito e rendere disponibili le piattaforme per i cittadini, senza perdere altro tempo. Ci vorrà invece un po’ di più per rilasciare degli aggiornamenti integrati direttamente nei sistemi operativi mobili, cioè Android e iOS.
Proprio Google ha confermato, in questo senso, che userà l’infrastruttura dei servizi Google Play per aggiornare i telefoni del robottino verde. Non si affiderà dunque ai singoli produttori, che con le loro versioni customizzate potrebbero impiegare davvero troppo tempo ad aggiornare i telefoni. In questo modo moltissimi utenti, potenzialmente miliardi, vedranno il proprio telefono trasformato in strumento utile grazie a una modifica automatica nel proprio sistema operativo.
Il problema dei sistemi operativi
Rimangono però in sospeso alcuni problemi non secondari. Primo, l’aggiornamento sarà disponibile solo per telefoni che usano da Marsmallow in su, cioè da Android 6 rilasciato nel 2015. Stando ai dati dello scorso anno, sicuramente da rivedere al ribasso ma pur sempre significativi, c’è ancora un buon 20% abbondante di dispositivi che usano versioni obsolete dell’ambiente di Mountain View, precedenti alla sesta. Si tratta di utenti che rimarranno esclusi da quello strumento, che si preannuncia fondamentale per il contenimento dell’epidemia.
E quello dei dispositivi venduti in Cina
Non solo. Gli smartphone venduti in Cina, così come quelli Huawei venduti in tutto il mondo nonostante il bando statunitense, non hanno a disposizione i Google Mobile Services. Al momento, insomma, non potrebbero utilizzare quel metodo di contact tracing (per quanto nella Repubblica popolare ve ne siano di più capillari e invasivi per la riservatezza personale, ma questa è un’altra storia).
BigG pubblicherà uno schema tecnico e una serie di informazioni per dare l’opportunità a questi gruppi di replicare il sistema di tracciamento sicuro e anonimo sviluppato nel contesto dell’alleanza con la Mela. Per cui starà poi a Huawei, a Xiaomi – per i telefoni venduti in patria – e agli altri costruttori allinearsi e decidere se e come implementare quella soluzione per i dispositivi venduti in Cina e ovunque non ci siano i GMS a bordo.