Combattere le neoplasie riducendo gli effetti collaterali: questa la sfida del sincrotrone di Pavia, che ha già trattato 2200 pazienti. Ma il Mezzogiorno resta scoperto
C’è un posto dove chi ha un cancro giudicato inoperabile o che non risponde alle terapie convenzionali può giocarsi la partita della vita. È un sincrotrone simile a quello del CERN di Ginevra, un anello da una ventina di metri di diametro dove particelle infinitesimali vengono accelerate e convogliate verso la massa neoplastica con precisione millimetrica. Alla sua costruzione hanno partecipato più di 600 aziende (500 italiane) e una super-equipe formata da medici, fisici, ingegneri e specialisti in discipline trasversali. Questo posto è il CNAO.
Un sincrotrone per combattere i tumori
L’acronimo sta per Centro Nazionale Adroterapia Oncologica, la sede è a Pavia. In questo laboratorio dall’aspetto futuristico, la tecnologia più avanzata si mette al servizio della medicina. Competenze trasversali che travalicano i saperi tradizionali e si pongono all’avanguardia mondiale. Il centro nasce nel 2001 dalle intuizioni di Ugo Amaldi, all’epoca a Ginevra come fisico delle particelle, e Giampiero Tosi, che in quegli anni dirigeva la Fisica Sanitaria dell’ospedale Niguarda di Milano, con la collaborazione della fondazione Tera di Novara. Il comune di Pavia ha messo a disposizione gratuitamente il terreno, che si trova a poca distanza dal Policlinico ed è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici anche dalla stazione. I lavori partono nel 2005 e terminano nel 2009. Si apre, quindi, una complessa fase di messa a punto, controlli preliminari e richiesta di autorizzazioni che dura due anni. Nel 2011 entra, finalmente, il primo paziente: da allora, oltre 2.200 persone sono transitate da qui.
StartupItalia ha potuto visitare il CNAO in esclusiva durante una pausa delle attività. Mentre i tecnici erano al lavoro, ci siamo aggirati tra tubi di acciaio, magneti, impianti di raffreddamento. Un rumore sordo non ha mai cessato di accompagnarci mentre cercavamo di capire, con l’aiuto di chi ci lavora quotidianamente, come funziona questo “mostro” in grado di riaccendere la speranza.
Precisione assoluta
“In pratica, impieghiamo protoni e ioni di carbonio per aggredire le masse tumorali e farlo con precisione assoluta – spiega Giuseppe Venchi, responsabile del Dipartimento Macchina Acceleratrice, mentre passeggiamo – Siamo in grado di convogliare il fascio generato dal sincrotrone nella zona da colpire con precisione millimetrica. Ma l’energia, a differenza di quanto accade con la radioterapia convenzionale, viene rilasciata solamente quando si raggiungono i tessuti malati, risparmiando quelli sani che vengono solamente attraversati lungo il tragitto”.
L’adroterapia – dal greco adros, “grosso, denso” e quindi “pesante” – trova indicazione per i tumori radioresistenti, quelli che rispondono meno alla radioterapia tradizionale e per i tumori collocati in sedi critiche vicino agli organi più sensibili alle radiazioni. Tra questi, i sarcomi, gli adenocarcinomi delle ghiandole salivari, i tumori del pancreas, i meningiomi vicino al nervo ottico o al tronco encefalico.
CNAO, il funzionamento della macchina
La fisica alla base del sincrotrone è estremamente complessa. “Le particelle pesanti come il protone di carbonio hanno la proprietà di riuscire a penetrare nel tessuto senza danneggiarlo minimamente prima di giungere a bersaglio” riprende Venchi. Grossolanamente, l’impatto di queste particelle produce la distruzione del DNA della cellula, che muore. Ma col passare delle sedute – di solito tra 25 e 20 – soccombono anche le cellule non colpite, perché vengono a trovarsi circondate da tessuto morto.
Fisici, medici e ingegneri: tutte le professionalità coinvolte
Alla progettazione e costruzione del macchinario hanno lavorato decine di professionalità e centinaia di aziende di tutta Italia. I fisici lo hanno concepito dal punto di vista concettuale, mentre agli ingegneri meccanici, civili, elettronici, elettrici è toccato il compito di tradurre in pratica l’idea e disegnare gli impianti accessori. Ma al lavoro ci sono anche radiobiologi (“che conoscono quali sono le caratteristiche del fascio perché sia efficace sulle cellule malate” spiega Venchi) e fisici medici (“figure ibride che sanno come calibrare la quantità di particelle da mandare sul tumore”). Con loro, ovviamente, collaborano i dottori, che restano il centro del percorso di cura e sono i referenti del paziente. “Di solito si tratta di radioterapisti specializzati in adroterapia – prosegue l’ingegnere – Figure difficili da trovare. Anche perché di macchine duali del genere ce ne sono solo altre cinque al mondo”. Gli altri centri dove si utilizzano sia protoni che ioni di carbonio si trovano in Germania, Austria, Giappone e Cina.
Se l’impiego dei protoni è innovativo, quello degli ioni di carbonio è ancora più all’avanguardia, e consente di trattare anche tumori al pancreas, al fegato, alla prostata (i casi ad alto rischio), recidive di tumori del retto e glioblastomi operati, oltre che recidive di tumori già irradiati con radiazioni convenzionali.
CNAO, i risultati dell’adroterapia
Ci spostiamo, finalmente, all’interno del centro di cura. Qui la fisionomia del centro cambia radicalmente, e l’ambiente si trasforma in qualcosa di simile a quello di un moderno ospedale. Il sincrotrone si proietta, per così dire, in sala trattamento assumendo per l’occasione un aspetto molto più familiare e rassicurante. La seduta si svolge su un lettino confortevole a cui il paziente viene assicurato saldamente per garantire il puntamento corretto. Tutto avviene nel massimo comfort, per rendere l’esperienza il più gradevole possibile.
Ma quali sono le prospettive per chi viene a farsi curare qui? La risposta della dottoressa Viviana Vitolo, uno dei medici dello staff, è prudente, come d’obbligo in questi casi. “Non sempre l’esito del trattamento è la scomparsa della lesione esistente – spiega il medico – Anzi, direi che questo non avviene quasi mai. L’obiettivo è, piuttosto, quello di cronicizzare la situazione: far sì che la lesione smetta di crescere, o si riduca di dimensioni. Spesso si cicatrizza e diventa tessuto inattivo, non vitale”.
È l’imaging fatto due o tre mesi dopo il trattamento a confermare il successo della terapia: di solito, è una risonanza magnetica che viene confrontata con quella di partenza. Dopo il trattamento, la qualità di vita del paziente può migliorare molto, e spesso si allungano le prospettive di sopravvivenza. Anche i danni collaterali sono ridotti. L’importante – conclude il medico – è non pensare all’adroterapia solo come extrema ratio: se c’è indicazione per effettuare un trattamento, meglio cominciare subito. “Ma anche i colleghi medici – ammette – spesso non sono informati di questa possibilità”.
Gli ostacoli della burocrazia: mancano i decreti attuativi
C’è un altro problema: la burocrazia. Nel 2017 l’adroterapia è entrata a far parte dei livelli essenziali di assistenza (LEA) ma, ad oggi, mancano ancora i decreti attuativi. Il risultato è che, mentre i pazienti di Lombardia ed Emilia Romagna possono accedere facilmente alla struttura su indicazione di chirurghi, oncologi e radioterapisti, per quelli provenienti da altre regioni serve anche un’autorizzazione specifica da parte della ASL di residenza. Così il paziente perde tempo prezioso e la macchina – costosissima – lavora al di sotto delle proprie capacità.
La costruzione del CNAO ha richiesto ben 140 milioni di euro, pari alla metà – spiegano i responsabili – di quanto richiesto da impianti simili all’estero. Per la sua efficienza progettuale, molti centri oltreconfine hanno richiesto ai ricercatori italiani una consulenza che permetta di realizzare risparmi del genere. Tra questi, Vienna, Dallas, Osijek (Croazia), Phoenix, San Francisco. Ma la struttura pavese è diventata un modello anche sotto il profilo manageriale. Amministrare un complesso del genere è un complicato lavoro di equilibrio per non soccombere sotto il peso dei costi, su cui grava come un macigno l’investimento iniziale.
Adroterapia: metà paese ancora “scoperto”
A Pavia è in programma la costruzione di un secondo acceleratore che consentirà di raggiungere angoli del corpo umano oggi difficili da colpire grazie alla possibilità di inclinare il fascio in maniera più versatile. Ma gran parte d’Italia è fuori dalla portata di questa rivoluzionaria terapia. C’è solo un’altra macchina per la terapia con i protoni nel nostro paese, e si trova a Trento, estremo nord.
“La terza la stiamo costruendo noi a Frascati”. A parlare è Luigi Picardi, responsabile del Laboratorio Acceleratori Particelle e Applicazioni Medicali dell’ENEA, il fu Ente Nazionale dell’Energia Atomica che ha mantenuto la stessa denominazione ma si dedica, dopo i referendum, allo studio di altri possibili utilizzi dell’atomo. “Il progetto si chiama Top Implart e si tratta di una macchina modulare che sarà completata nei prossimi anni”.
Quello laziale è un acceleratore lineare, fratello minore del sincrotrone del CNAO: un dispositivo più agile e meno costoso e che, a differenza di quello lombardo, non lavora con gli ioni ma solo con i protoni. Secondo Picardi ci vorranno circa tre anni per completare il prototipo e ingegnerizzarlo, oltre, naturalmente, a ulteriori finanziamenti. Ma quando l’acceleratore sarà terminato, a restare scoperto sarà solo il Mezzogiorno. La sorte, a volte, è ironica. Perché la prima esperienza di protonterapia in Italia è stata compiuta proprio nel profondo sud, a Catania: nel Centro di AdroTerapia ed Applicazioni Nucleari Avanzatea della città siciliana il melanoma oculare si tratta così dal 2002. Molto prima che in qualsiasi altra parte dello Stivale.