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Il processo di automazione all’interno dei datacenter consente di liberare risorse preziose. Importanti per trasformare tutta l’azienda, grazie all’intelligenza artificiale
Viviamo nel pieno di un cambiamento radicale del panorama tecnologico: l’avvento dei personal computer ha cambiato le scrivanie degli uffici, la diffusione di Internet il modo stesso in cui si lavora e si collabora tra colleghi, nella stessa stanza o a distanza. Oggi viviamo una terza rivoluzione: quella legata al cloud, ai big data, alla grande capacità di calcolo garantita dai datacenter che mettono a disposizione nuovi strumenti per l’analisi e l’elaborazione dei dati stessi basati sull’intelligenza artificiale. Da cogliere c’è una nuova opportunità: quella che l’automazione dei processi può offrire alle aziende, in termini di tempo e risorse risparmiate da reinvestire in attività ad alto valore aggiunto.
L’era del machine learning
“L’esplosione dell’uso di machine learning e intelligenza artificiale è senz’altro dovuta alla maggiore potenza di calcolo disponibile a costi ragionevoli – spiega Michele Porcu, che guida la strategia di Oracle per il cloud nel Sud Europa – Ma, soprattutto, alla presenza di un’elevata mole di dati necessaria per ‘allenare gli algoritmi ad apprendere’ – il machine learning, appunto – e renderli così efficaci”. In altre parole, dalla teoria si è passati alla pratica: la tecnologia di cui parliamo è allo studio da molte decine di anni, e finalmente è diventato possibile applicarla a casi d’uso concreto e trasformarla in un prodotto realmente utile all’IT personale e aziendale.
Gli effetti di questa tecnologia saranno più evidenti con la progressiva diffusione di questi strumenti: “Gli impatti di queste tecnologie sul mondo del lavoro sono molteplici e saranno sempre più importanti nel prossimo futuro” continua Porcu. Gli esempi pratici non mancano: call center più efficienti, sistemi di backoffice che forniscono informazioni preziose per migliorare le vendite di prodotti e servizi, unendo i dati strutturati a quelli non strutturati che fino a oggi stentavano a trovare un impiego. “Anche dal punto di vista della sicurezza e della compliance con le regole di privacy come GDPR ci saranno notevoli opportunità di miglioramento, ad esempio in tema di antifrode e cybersecurity”.
Sistemi più efficaci, dunque, ma anche più efficienti. La stessa tecnologia può essere impiegata per rendere più sicuro e disponibile l’ambiente operativo lato server, con una SLA che arriva al 99,995%: se le app e i dati arrivano dal cloud, sono archiviati e conservati in un datacenter, e i datacenter possono sfruttare di nuovo machine learning e intelligenza artificiale per tenere sotto controllo la sicurezza e la disponibilità del servizio.
Che cos’è Oracle Autonomous Database
Qual è la differenza tra uomo e macchina? Il primo è un essere capace di immaginare soluzioni che vanno oltre la semplice ripetizione sequenziale di una serie di azioni: sfrutta l’immaginazione, l’intuizione, per scovare soluzioni che vanno oltre la semplice deduzione. Le macchine invece non vanno oltre la propria programmazione, ma sono in grado di gestire contemporaneamente e rapidamente mole di dati per noi inimmaginabili: le doti delle macchine sono perfette per fare da complemento all’essere umano, gli permettono di dare fondo ai propri talenti senza doversi preoccupare della complessità.
È da questa considerazione che nasce l’idea di Autonomous Database: far svolgere alle macchine i compiti ripetitivi e le operazioni di manutenzione che sono un peso per il personale in carne e ossa, liberando gli IT manager da questo peso e lasciando spazio ad altre attività. Soprattutto, si elimina il fattore umano dall’equazione sicurezza: “Nell’85% degli attacchi le patch per risolvere eventuali vulnerabilità sono già disponibili, ma non ancora installate – racconta Porcu – I motori di machine learning, oltre a garantire un’elevata vigilanza, riescono a mantenere il software sempre aggiornato proteggendolo dalle vulnerabilità conclamate, e applicando le patch in automatico via via che vengono rese disponibili”.
La sicurezza è proprio uno dei fattori chiave in questo caso: la già citata normativa GDPR ha imposto regole precise per la gestione e la comunicazione in materia di sicurezza, dunque un database che mette a disposizione un perimetro più sicuro per quanto attiene gli aggiornamenti è una risorsa preziosa. Senza contare che un ambiente operativo percepito come insicuro genera delle ricadute economiche significative: “Nel breve si tratta soprattutto di rischio operativo d’azienda – spiega Porcu – Tutte le iniziative di recovery, insieme al downtime di servizio, comportano ad un aggravio di costi rilevante (fino a 200 euro per dipendente). Nel medio-lungo periodo invece parliamo di rischio strategico-reputazionale: può costare emorragie di clienti e soprattutto danni consistenti in termini di valore del brand o persino valore azionario dell’azienda”.
Tre motivi per scegliere Autonomous Database
Prendete il database più usato sul mercato, aggiungete intelligenza artificiale, installatelo nei datacenter dotati di tecnologia Exadata: il risultato è Autonomous Database. L’AI apprende dall’uso del database stesso, ottimizzandone le prestazioni nel tempo senza richiedere l’impegno di ore-uomo, così come procede in modo autonomo all’installazione delle patch di sicurezza o a risolvere i malfunzionamenti che potrebbero causare downtime.
I risparmi in termini di risorse possono raggiungere l’80 per cento: tutto tempo che l’IT può impiegare in altre attività, come ad esempio lo sviluppo di nuovi prodotti in grado di generare fatturato. Il tutto senza trascurare i vantaggi tipici di queste soluzioni cloud: la segregazione del dato per assicurare che non venga manipolato, la cifratura fisica embedded nell’hardware, l’hardware stesso che è ottimizzato per il database – sviluppato a Redwood City.