La membrana artificiale servirà per testare farmaci, migliorare la vita dei pazienti e svincolarsi dalla ricerca sugli animali: è l’obiettivo di un nuovo progetto, finanziato con 500mila euro e coordinato dall’Università di Pisa
Un “occhio bionico” per testare farmaci e terapie per la maculopatia, migliorare la vita dei pazienti e svincolarsi dalla necessità di fare ricerca sui modelli animali: è il progetto europeo Biomembrane, appena finanziato con circa 500mila euro e coordinato dal centro di ricerca E. Piaggio dell’Università di Pisa.
Cos’è la maculopatia
La maculopatia, o degenerazione maculare, colpisce soprattutto le persone anziane. L’incidenza aumenta dopo i 75 anni ma può manifestarsi già a 50 e in Italia ne soffre più di un milione di persone, con circa 63mila nuovi casi l’anno. È una patologia nella quale la parte centrale della retina degenera: il risultato è una macchia di non visione in corrispondenza delle cellule morte, proprio al centro dell’occhio, che può compromettere la vista anche in modo grave ed è la prima causa di cecità nei paesi benestanti. Immaginate di guardare l’orologio e vederne bene la cornice, ma non il quadrante, o di osservare un volto e distinguerne contorni e orecchie ma non occhi, bocca, naso. Questa è la maculopatia.
Ecco come vede una persona affetta da maculopatia, nella quale la macula dell’occhio degenera causando una zona centrale di “non visione”
© Università di Pisa
Le difficoltà della terapia
«Ne esistono due tipi, una secca e una umida. Quella secca è un deposito di grassi nell’occhio e si presenta nella persona mediamente anziana, mentre in quella umida si formano nuovi capillari che fanno aumentare la pressione e provocano la distruzione della retina», spiega a StartupItalia! Giovanni Vozzi, professore associato di Bioingegneria elettronica e informatica all’Università di Pisa. Per studiare nuovi farmaci e terapie si ricorre soprattutto a modelli animali come il coniglio o il ratto. «Ovviamente non sono esseri umani, e resta il problema di poter osservare l’interfaccia tra la retina e il dotto vascolare, dove la patologia si genera e dove effettivamente si può capire cosa succede e se il farmaco agisce come dovrebbe», prosegue Vozzi.
La difficoltà nel monitorare l’azione dei farmaci, insieme alla necessità di somministrarli spesso, sono i limiti che l’occhio bionico vuole superare. Oggi i pazienti devono sottoporsi a una puntura settimanale per iniettare la terapia. «Molti la abbandonano dopo appena due anni, perché nonostante si usino dei microaghi è dolorosa e i risultati non sono sempre quelli attesi. Capita che il farmaco agisca su effetti secondari e non sulla causa stessa».
Le risposte nell’occhio bionico
L’obiettivo di Biomembrane è sviluppare un sistema per testare tutti questi aspetti, un modello della parte malata dell’occhio per studiare l’azione dei farmaci, ottimizzarla e riuscire così a ridurre il numero di iniezioni, passando magari a una al mese o al bimestre. La porzione da trattare è composta dalla cosiddetta membrana di Bruch. «Lì si posizionano i fotorecettori della retina, mentre dall’altro lato troviamo la rete vascolare», spiega Vozzi. «Fino a quando la retina fa passare solo le sostanze nutritive buone l’occhio è sano, ma quando attraverso i pori allargati della membrana passano anche quelle cattive si attiva la patologia. A partire dalle immagini dei pazienti gli scienziati ricostruiranno la membrana, ricreandone gli strati, la composizione e l’organizzazione grazie a una tecnica di elettrospinning.
Come verrà realizzata la membrana
Immaginiamo di dover usare una normale siringa e pigiare sullo stantuffo per far uscire il liquido. «Nel caso dell’elettrospinning, invece, si crea un campo elettrico tra un ago di metallo e un piano anch’esso di metallo. Questa tensione fa uscire il materiale sulla scala del nanometro in modo da creare tessuti-non-tessuti, qualcosa di simile all’ovatta», spiega ancora il professore. Le fibre saranno piccolissime, tali che le dimensioni siano le stesse delle strutture dell’occhio come la matrice extra-cellulare. Ed ecco la prima parte dell’occhio bionico. Per creare la rete vascolare, con capillari identici a quelli dell’occhio vero, gli scienziati si serviranno invece di una stampante 3D e di tecniche di soft-litografia. «Semineremo le cellule endoteliali, quelle che metabolizzano i nutrienti e attraverso la membrana di Bruch, nell’occhio sano, fanno passare quelli buoni». Il primo passo sarà quindi creare l’occhio bionico sano, per poi passare a membrane malate con diversi gradi di maculopatia. In collaborazione con la società spagnola Allinky Biopharma SL, tra i partner del progetto e produttrice di un farmaco per la maculopatia, «nella fase successiva osserveremo come agisce sulla patologia e in che modo ripara la membrana».