Bernie Krause da 45 registra le melodie che la natura (tutta) compone. E ci fa capire quanto gli ambienti cambiano per colpa dell’uomo: «Se l’occhio può essere ingannato, le nostre orecchie possono raccontarci una storia differente».
Ci sono storie che nessuno, tantomeno il tempo, possono sbiadire. Come quella di Bernie Krause, uno dei più importanti naturalisti e musicisti del mondo. Un uomo che è riuscito a fondere queste due passioni, regalandoci un archivio incredibile di armonie. Sì, perché Krause registra paesaggi sonori: dal vento che attraversa le fronde degli alberi al suono, quasi impercettibile, delle larve degli insetti; dal grugnito dell’anemone di mare ai tristi versi del castoro che piange. E lo fa da 45 lunghi (e intensi) anni.
Le melodie (uniche) che la natura crea
«Quando ho iniziato non sapevo che le formiche, le larve di insetti, le anemoni di mare e i virus creassero melodie. Ma lo fanno. Altrettanto fa ogni altra creatura selvatica al mondo, come la foresta pluviale in Amazzonia». Per Krause la natura è una grande orchestra che non smette mai di eseguire il suo concerto. Un’orchestra vibrante che genera, ogni volta, una melodia unica. Una melodia piena di informazioni e che muta con il cambiare delle stagioni e degli ambienti.
Una testimonianza che diventa Storia, anno dopo anno, cambiamento dopo cambiamento
Geofonia, biofonia, antrofonia
In uno speech di tre anni fa, durante un TED Global, Krause indicò quali fossero le tre fonti musicali che concorrono alla composizione di un paesaggio sonoro naturale: «La prima fonte è la geofonia, ovvero i suoni non biologici che esistono in ogni habitat, come il vento tra gli alberi, l’acqua che scorre, le onde che s’infrangono sulla costa, il movimento della Terra. La seconda fonte è la biofonia che comprende tutti quei suoni generati da organismi in un determinato habitat in un preciso istante e in un posto ben preciso. La terza fonte è rappresentata da tutti i suoni che gli umani producono ed è chiamata antrofonia. Parte di quei suoni sono controllati, come la musica o il teatro, ma la maggior parte è caotica ed incoerente ed è ciò che alcuni di noi chiamano rumore».
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I metodi di registrazione
Agli inizi degli anni ’60, quando Krause inizia il suo viaggio, il problema più grande era dato proprio dalla tecnologia. I registratori di allora, infatti, non permettevano di catturare al meglio l’essenza sonora prodotta dalla natura: «Per me, era come cercare di capire la magnificenza della Quinta Sinfonia di Beethoven estraendo il suono di un unico violino portandolo fuori dal contesto dell’orchestra ed ascoltando solo quella parte».
Ma, al contrario di oggi, il risultato che si otteneva, se rapportato al numero di ore di ascolto, era diverso (e non per forza peggiore): «Potevo registrare per 10 ore ed ottenere solo un’ora di materiale utilizzabile, buono abbastanza per un album o la colonna sonora di un film o per un’installazione museale. A causa del surriscaldamento globale, l’estrazione di risorse naturali e il rumore degli umani, tra tanti altri fattori, ora ci vogliono fino a 1000 ore o più di registrazione per ottenere lo stesso risultato».
Nonostante i registratori pazzeschi di cui oggi dispone.
Le azioni invasive dell’uomo hanno determinato un peggioramento e un netto cambiamento: «Metà del mio archivio proviene da habitat alterati così radicalmente che o sono diventati completamente silenziosi o non possono essere più ascoltati nella loro forma originale».
Il caso del Lincoln Meadow
Lincoln Meadow è l’esempio lampante di quanto sia importante il lavoro a cui si dedicano Krause e i suoi colleghi. Si trova in California, non lontano dalla Sierra Nevada, a 2mila metri d’altitudine. Un vero paradiso. Nel 1988, in quella regione così ricca, si diede vita a quello che fu chiamato “disboscamento selettivo”: non si rase al suolo un’intera foresta ma si procedette ad abbattere alberi provenienti da varie zone. Tutto con la scusa che questo metodo potesse limitare i danni e salvaguardare meglio l’ambiente. Ma non era così.
«Ebbi il permesso di registrare suoni sia prima che dopo l’intera operazione. Mi piazzavo all’alba con la mia apparecchiatura per catturare i cori mattutini seguendo un rigido protocollo e calibrando le registrazioni, perché volevo degli ottimi dati di base. Sono tornato in quei luoghi ben 15 volte nel corso degli ultimi 25 anni. Posso dirvi che la densità e la diversità di quella biofonia non è tornata ad essere quella che era un tempo prima del disboscamento. Mai più».
L’occhio può, infatti, essere ingannato ma le nostre orecchie ci raccontano una storia differente.
La storia del castoro
Alla fine del suo speech, Krause racconta una delle storie più strane e toccanti che la natura può raccontare e di cui, purtroppo, l’uomo non si preoccupa: «Un mio collega stava registrando intorno a una pozza che si era formata circa 16 000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale. Era formata in parte anche da una diga di castori che da una parte teneva insieme l’intero ecosistema in un equilibrio molto delicato. Un pomeriggio, mentre stava registrando, sono apparsi dal nulla due guardacaccia, che senza motivazione apparente, hanno calpestato la diga dei castori, hanno lanciato un candelotto di dinamite e l’hanno fatto saltare in aria uccidendo la femmina e i suoi cuccioli. Sconvolti, i miei colleghi rimasero dov’erano per schiarirsi le idee e registrare ciò potevano per tutto il resto del pomeriggio, e quella sera, immortalarono un evento incredibile: l’unico castoro maschio superstite nuotava lentamente in cerchio piangendo disperatamente per la morte della compagna e della prole. Questo è forse il suono più triste che io abbia mai udito provenire da un organismo, umano o meno». Qui, alla fine del TED, lo trovate. Sì, è una lezione da cui imparare.
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La lezione di Krause
A volte il suono e un documento fondamentale che può farci capire quanto l’uomo stia modificando, senza tregua, il pianeta in cui vive: «In una manciata di secondi, una paesaggio sonoro rivela più informazioni da molti più punti di vista, da dati quantificabili ad ispirazioni culturali» Ancor più di quello che può fare una fotografia e, dunque, la vista: «La resa visiva incornicia implicitamente una prospettiva frontale limitata di un determinato contesto spaziale, mentre i paesaggi sonori aumentano il raggio fino a raggiungere i 360 gradi, avvolgendoci completamente. E se una fotografia vale più di 1000 parole, un paesaggio sonoro vale più di 1000 foto. Le nostre orecchie ci dicono che il sussurro di ogni foglia e creatura dialoga con le risorse naturali delle nostre vite, e ciò potrebbe contenere i segreti dell’amore per tutte le cose, specialmente la nostra umanità». E da oggi, quando vi troverete in mezzo alla natura aprite le orecchie. Ascolterete la vita e i suoi incredibili messaggi.
Alessandro Frau