WeMake è il primo fablab italiano ad aver ottenuto la ISO 9001. È una certificazione di qualità che riguarda i processi aziendali, i prodotti e i servizi che una realtà è in grado di fornire ai propri clienti. Merito di impegno, ambizione e team building, secondo la fondatrice Zoe Romano.
«WeMake è il primo fablab in Italia ad aver ottenuto la certificazione ISO 9001». Zoe Romano, fondatrice assieme a Costantino Bongiorno di WeMake, non nasconde un certo orgoglio nel dare questo annuncio. Comprensibile, se si pensa al valore che una certificazione di qualità ha nel mondo dei fablab, che devono fare i conti con la propria credibilità nei confronti di aziende e istituzioni. La certificazione ISO 9001 riguarda i processi aziendali, i prodotti e i servizi che una realtà è in grado di fornire ai propri clienti. Ottenere questo tipo di certificazione non è semplice: serve tanta organizzazione interna, la capacità di definire le responsabilità, i ruoli e i processi all’interno dell’azienda per fare in modo che ogni step sia affrontato secondo un elevato standard di qualità, nonché l’attitudine a trasmettere a tutte le funzioni la necessaria consapevolezza dell’importanza di questi aspetti.
WeMake è stata inaugurata a Milano l’11 giugno del 2014. Da allora ha sviluppato al proprio interno spazi e attività per fare incontrare persone, con diverse attitudini, nel campo della produzione digitale. In questo modo ognuno ha la possibilità di imparare, sperimentare e produrre in autonomia. Oltre a questo, come si può leggere sul sito, WeMake è tanto altro: un makerspace, una community e una associazione. Un’idea di fablab trasversale che oltre a sviluppare progetti e a rivolgersi al territorio investe molto sulla formazione, lo scambio di idee e l’impatto sul territorio.
WeMake fablab: una residenza per innovatori e makers
Una particolarità che distingue questo fablab dagli altri è la presenza di uno spazio adibito a residenza, sulla falsariga delle residenze d’artista che sono molto comuni in Italia e in Europa. WeMake dispone di un locale adibito a questa funzione, con l’obiettivo di creare sinergie con il network internazionale con cui WeMake è a contatto e metterlo in relazione con il tessuto locale di imprese, creativi e istituzioni, in un’ottica di innovazione per il territorio.
«Le persone hanno piacere di lavorare con noi e, nel frattempo, di poter venire a Milano»
È importante per WeMake ottenere questo tipo di collaborazioni anche dal punto di vista tecnico: dalla recente collaborazione con Caroline Woolard, artista americana che ha esposto anche al MOMA, abbiamo approfondito l’utilizzo della fresa a controllo numerico e costruito un’opera DIY Ruin che è attualmente esposta alla Cornell University. La possibilità di proporre la residenza durante manifestazioni come il Salone o la Settimana della Moda è un motivo in più per essere ospiti di WeMake e coinvolgere anche sponsor interessati a mettere in evidenza le potenzialita’ di alcune tecnologie o materiale per fabbricazione digitale.
Un nuovo concetto di wearable technology
La moda è uno dei settori in cui WeMake investe i propri sforzi. Zoe ha alle spalle un percorso che parte da una sperimentazione per quanto riguarda la moda autoprodotta e locale. Ciò significa ragionare sulla filiera corta e su come possa esistere una micro produzione di moda autosostenibile e che sia distante da quello che sono i grandi brand e la fast fashion.
Da questa esperienza si è deciso di portare questo ambito tra gli interessi del FabLab e di facilitarne lo sviluppo tramite l’utilizzo di nuove tecnologie.
In particolare si è cercato di promuovere l’utilizzo di software per la creazione di cartamodelli digitali e parametrici, oltre a diversi altri ambiti di applicazione come l’utilizzo della lasercut come strumento di lavoro, alla creazione di nuovi business model che permettano di facilitare i processi di produzione dei piccoli produttori. Fino alle tecnologie indossabili che rendono gli abiti più smart e su cui WeMake ha attivato percorsi formativi e di ricerca. In Italia però dove abbiamo una tradizione importante nel tessile ancora si fa molta fatica a dialogare con le imprese del settore e a trovarne disposte a investire in progetti che fanno dialogare tecnologia e tessuti, e si resta a guardare stupiti imprese come Google che lanciano “Project Jacquard”.
Zoe sostiene che, per adesso, nell’ambito dei prodotti wearables non si vede ancora un livello di integrazione interessante: «Spesso parliamo di oggetti di plastica o metallo che vengono indossati, come orologi e occhiali. Esiste però un altro livello di sperimentazione legato alla moda in cui la tecnologia diventa trasparente, che adesso Google ha deciso di rilanciare, per il quale gli abiti sono intessuti di sensori “embeddati” nei tessuti».
Il team alla base del successo
Le attività di WeMake sono tante e diverse fra loro, ma seguono tutte il filo conduttore dell’open source e dell’innovazione sociale e tecnologica. Oltre alle attività legate alla moda e alle residenze, la prossima inizierà il 16 di settembre, WeMake ha vinto un bando dell’Unione Europea Horizon 2020 per sperimentare l’uso della fabbricazione digitale e delle tecnologie open hardware e a basso costo nell’individuazione di soluzioni ai bisogni di cura nella nostra società.
Il progetto si chiama Opencare e coinvolge altri 5 partner tra cui il Comune di Milano. A questo si aggiungono le attività di affiancamento alle attività curriculari e pedagogiche svolte dai docenti ed educatori per quel che concerne l’utilizzo di strumenti digitali e le attività di ideazione attraverso un processo di design thinking, il supporto nell’allestimento e progettazione di laboratori e attività di community building per fablab e makerspace.
Tutte queste attività rendono WeMake un esempio da seguire nel mondo dei fablab italiani. Per questo ho chiesto a Zoe di dare un consiglio a coloro che sognano di aprire un proprio fablab: «Trovate un buon team di lavoro con diverse competenze. Mettetevi in gioco con partner internazionali e imparate bene l’inglese. Sia scritto che parlato. All’inizio sembra che sia necessario fare di tutto, invece è importante capire in cosa consiste il vostro interesse principale per riuscire a dedicare tutto il tempo necessario».