Geco fablab è un esempio di come lo storytelling sia presente in maniera trasversale nell’ambito dei fablab, di quanto sia necessario, utile e, a volte, redditizio.
Il Geco fablab è un laboratorio nato all’interno dello Spazio Geco, fondato a Pavia nel 2013, ad opera di quattro trentenni: Luca De Sanctis, Marianna Belvedere, Michele Magnani e Giulia Carlini. Oggi, dopo alcuni cambiamenti di gestione, sono Luca e Marianna a portare avanti il progetto, aiutati da altre persone che hanno deciso di dare loro una mano.
Luca ha 31 anni. È laureato in architettura, con esperienze di design; Marianna è una storica dell’arte con esperienze nell’ambito dei musei multimediali interattivi e proviene dal mondo dei beni culturali. Tra i collaboratori che contribuiscono allo sviluppo del fablab ci sono anche Alejandro Plaza e Sergio Camici, ingegnere elettronico di 52 anni che ha lavorato per anni nel settore dell’automazione.
Geco fablab: l’inizio tra storytelling e divulgazione
Parlando con Luca e Michele si capisce subito quanto lo storytelling sia stato importante nel percorso del Geco fablab: «Nel periodo iniziale ci siamo focalizzati sulla divulgazione della fabbricazione digitale nel nostro territorio» racconta Luca. «Abbiamo raccontato cos’è un fablab, cercando di stimolare l’interesse di curiosi e potenziali makers, facendo anche tanti eventi gratuiti e andando nelle scuole, alle fiere e alle manifestazioni di settore».
Questo è un aspetto cruciale che ogni fablab deve mettere in conto.
Proprio come il Geco fablab, molti laboratori hanno dovuto trovare diversi modi per raccontarsi, per farsi conoscere e per entrare nell’immaginario delle persone. Si tratta di fare divulgazione su più livelli, di entrare in contatto con dei mondi che potenzialmente avrebbero molto da dare alla causa dei makers, ma che ancora non hanno conosciuto la realtà dei laboratori di fabbricazione digitale.
«Secondo me lo storytelling serve proprio per introdurre, grazie a un racconto, questi temi e i loro valori nel quotidiano delle persone. Non bastano un tweet o uno spot pubblicitario su facebook, bisogna creare delle linee narrative che siano interessanti».
Sergio ha una visione più filosofica della questione: «Abbiamo costruito una società che ha un grave difetto: divide le persone in produttori e consumatori. Per questo motivo, chi è consumatore non è cosciente del fatto che possa essere anche lui proattivo nella produzione. Tendiamo, in qualità di consumatori, ad essere succubi di ciò che il produttore decide che vogliamo. Per un approccio che non sia solamente filosofico – spiega Sergio – nel mondo della produzione esiste il concetto di case history, cioè cosa gli altri hanno già fatto in un determinato settore. Lo storytelling, per me, significa parlare dei vari precedenti ma calandoli nella realtà dell’ascoltatore, evitando la retorica del “Devi fare come aveva fatto lui”».
Lo storytelling come lavoro
Per il Geco fablab lo storytelling è stato centrale non soltanto nei primi anni di vita, ma anche nelle varie esperienze di lavoro che il laboratorio ha portato a termine. Infatti, uno degli ambiti in cui si è maggiormente speso è quello dei musei e degli allestimenti multimediali interattivi.
Un allestimento multimediale interattivo è una piattaforma che pone l’utente al centro dell’esperienza, privilegiando gli aspetti di interazione come medium di infomazioni e di apprendimento. Il Geco fablab ha allestito alcuni totem multimediali all’interno di quattro musei della rete CAST: Museo Civico di Pavia, Museo della Certosa di Pavia, Raccolta Museale Regina di Mede e il Sistema Museale di Ateneo, presso la sezione archeologica e gipsoteca.
«Con lo scanner 3D abbiamo scansionato le statue presenti in gipsoteca e ne abbiamo fatto delle riproduzioni in scala con all’interno una tecnologia invisibile all’utente. Grazie a questa, dopo aver appoggiato la riproduzione su un piedistallo, l’utente ha la possibilità di seguire un percorso narrativo specifico fornito dal totem, che riconosce la statua» spiega Sergio.
In questo modo la presentazione dell’opera diventa interattiva e non soltanto passiva, con la possibilità di “toccare con mano” le riproduzioni e guardarle da diverse angolazioni, prima di accedere alle informazioni dell’opera con un semplice gesto. Questo è storytelling a tutti gli effetti: il Geco fablab ha messo a disposizione della rete CAST degli strumenti grazie ai quali ogni utente ha la possibilità di costruirsi il proprio percorso, di esplorare la storia come meglio crede.
I progetti del Geco fablab in questo ambito non terminano qui. Presto verranno attivate altre collaborazioni con diverse realtà anche al di fuori del settore museale. Le destinazioni di questo genere di approccio sono tante e diverse, e possono spaziare in settori diversi come quello scolastico o urbano.
Lo storytelling e il crowdfunding
Ultimo ma non meno importante è l’aspetto legato al crowdfunding, una pratica che viene sempre più spesso adottata da tante diverse realtà per trovare finanziamenti e riuscire a sviluppare – e a rendere reali – le proprie idee. Il Geco fablab ha da sempre un occhio di riguardo nei confronti di questa modalità di finanziamento, per una serie di motivazioni pratiche ed etiche. A prescindere da ciò, intraprendere la via del crowdfunding non è affatto semplice, ed è servito tempo perché il laboratorio riuscisse a comprendere le tante dinamiche legate alla raccolta di fondi “dal basso”.
Lo storytelling nel crowdfunding è importante perché c’è la necessità di convincere delle persone della bontà del progetto. È l’unico modo per convincerle ad investire. Saper raccontare il prodotto e la sua filosofia è fondamentale, soprattutto nelle fasi iniziali della campagna. Poi servono tante altre abilità, come il saper creare una community attorno al prodotto, attuare una strategia vincente prima del lancio e tante altre accortezze che si aquisiscono soltanto con l’esperienza.
Il Geco fablab lancerà a breve Planty Cover su Kickstarter. Si tratta, come spiegano Luca e Sergio, di un piccolo progetto con il quale stanno imparando a gestire questo genere di campagne. «L’idea iniziale è sempre quella di voler salvare il mondo» dicono insieme «ma per iniziare bisogna partire con qualcosa di semplice, anche per tastare le nostre capacità e non fallire senza imparare nulla».
Planty Cover è una simpatica idea destinata a tutti coloro che hanno un gatto in casa.
Questo dispositivo evita che il gatto tiri fuori la terra dai vasi delle piante e, grazie a un piccolo apparecchio, diffonde degli ultrasuoni fastidiosi per l’animale, ma assolutamente non dannosi, facendo in modo che impari a non farlo più.
Insomma, il crowdfunding è una delle vie che il Geco fablab ha deciso di seguire, sfruttando al massimo lo storytelling per la divulgazione delle idee e dei prodotti. Di progetti ce ne sono tanti ma, come spiega Sergio, «è inutile tirarli fuori tutti insieme. Proviamo, sbagliamo, impariamo dagli errori e poi riproviamo. Solo così possiamo migliorare e superare i nostri limiti».
In definitiva, lo storytelling e il crowdfunding sono due facce della stessa medaglia per il Geco fablab: entrambi non possono mai essere il fine ultimo, ma ridurli a dei semplici strumenti per raggiungere un obiettivo sarebbe riduttivo. Sono due filosofie che si sposano perfettamente con la realtà dei fablab, due modi di interfacciarsi al mondo esterno senza il rischio di snaturarsi. Due modi per raccontarsi e per crescere, per fare in modo che la propria voce sia sentita anche al di fuori della rete dei makers.