Progetti da guardare seduti o in cui muoversi. Totalmente immersivi, odori compresi, o di cui essere solo spettatore. Il meglio dell’anno della VR è al Lido
Non ci sono manifestazioni paragonabili alla sezione VR della Mostra del Cinema di Venezia confermata per il secondo anno, appena chiusasi dopo 10 giorni di apertura al pubblico. Circa 30 progetti di realtà virtuale in anteprima mondiale più un pugno già visti altrove, considerati il meglio di quel che è stato fatto durante l’anno: alcuni dei creatori e produttori più noti e interessanti, la tecnologia di frontiera, indipendenti e grandi studi assieme con creatori che provengono dal videogioco, dalla videoarte, dall’arte classica, dal cinema e dalla televisione.
Lazzaretto Vecchio, nuova tecnologia
Tutto si svolge sull’isola Lazzaretto Vecchio, dal cui nome è evidente l’utilizzo che una volta era fatto della struttura che occupa tutta l’isola, raggiungibile dal Lido con un barca-navetta. Lì sono organizzate in piccoli ambienti a loro dedicate le Stand Up, cioè le opere che richiedono che il fruitore stia in piedi per poter guardare e muoversi dentro l’ambiente virtuale; le Interattive, quelle cioè che consentono all’utente non solo di muoversi ma anche di prendere parte attiva a quel che vedono; e il VR THeatre, la zona in cui si sta seduti e si guardano i progetti che non prevedono né movimento né interazione: i più simili ad un film in cui poter spostare lo sguardo di 360 gradi ma da un punto fisso.
C’era ad esempio un cortometraggio della serie A Ghost In The Shell, molto blando, e uno più divertente e centrato contenuto extra de L’Isola Dei Cani di Wes Anderson in cui i personaggi protagonisti (i cani) sono intervistati e tutt’intorno a loro c’è una specie di finto backstage del film.
Una moda che scotta
Ma sono le Stand Up e le Interattive le esperienze più affascinanti. Tra il meglio visto c’è solo un progetto italiano, X-Ray Fashion di Francesco Carrozzini (figlio di Franca Sozzani) in cui si entra scalzi e si indossa il visore e lo zaino contenente il computer cui è collegato il visore: per potersi muovere liberamente senza limiti. L’installazione è un percorso che, nel visore, è un viaggio di stazione in stazione, ognuna delle quali è un diverso momento della produzione di un capo d’abbigliamento: immagini reali a 360 gradi di sfruttamenti e disastri ecologici causati dall’industria. Di volta in volta elementi nel mondo reale aiutano l’immersione. Quando siamo in una sartoria indiana angusta e mortale un pannello riscaldato aumenta la temperatura nel mondo reale, quando siamo in una zona ventosa dell’aria arriva da un ventilatore e quando siamo nelle concerie con un passo entriamo in una vaschetta d’acqua.
L’accusa al mondo della moda è trattata con una certa puerilità e una buona dose di semplicismo, ma l’installazione funziona e mostra le possibilità di immersione con qualche aiuto dal mondo reale.
La stessa cosa che avviene in Umami di Landia Egal e Thomas Pons, l’installazione più complessa della mostra poiché animata in tempo reale nel mondo reale. Ci sono cioè persone che lavorano mentre lo spettatore ha il visore per muovere intorno a lui oggetti, odori e sapori: così che ciò che vede nella realtà virtuale abbia un riscontro in quel che può toccare. Anche qui l’obiettivo è la creazione di diverse sensazioni ibride tra il virtuale e il reale, verso una confusione dei due piani. La spallata del mondo reale crea un’illusione di realismo interessante, che non è certo la stessa che si può ottenere con una buona narrazione (lo vedremo più avanti) ma è strana e affascinante. Non sostenibile per uno sviluppo commerciale, è una stranezza videoartistica niente male.
Dal virtuale al reale
In fondo un po’ lo stesso lavoro di VR_I, installazione di Gilles Jobin in cui 5 persone insieme girano in un ambiente mentre intorno a loro si alternano giganti immensi e uomini minuscoli. Con sensori a mani e piedi nel mondo virtuale ognuno ha un suo avatar che risponde bene ai movimenti e può interagire con gli altri, i quali esistendo anche nel mondo reale possono stringere mani, parlare e toccare. È un’esplorazione della percezione degli spazi che stupisce ad ogni svolta con le proporzioni e non è niente male.
Meno impressionante per quanto tecnicamente valida è la Stand Up intitolata Crow: The Legend di Eric Darnell, in cui una favola new age su corvi colorati che si sacrificano per creare la primavera è raccontata con animazione un po’ poligonale dentro la quale lo spettatore si può muovere.Oogni scena di questa storiella animata si svolge in uno spazio piccolo e confinato nel quale ci si può spostare e guardare dal punto che si preferisce gli eventi, le interazioni e i personaggi che parlano: il problema, come sempre con qualsiasi racconto, è che se non è appassionante la storia è noiosa la presenza e si avverte l’artificio. La tecnologia però è buona e immaginare una storia avvincente dentro la quale muoversi per vederla da dove si preferisce non è male.
Il meglio del meglio
Infine il progetto forse più serio e appassionante visto nella sezione veneziana è uno dei più semplici (a dimostrazione dell’imperitura massima per la quale un’idea azzeccata compensa qualsiasi tecnologia). Berlin Blitz di David Whelan ha uno spunto formidabile, è una Stand Up senza interazione che mette lo spettatore dentro un aereo da bombardamento britannico durante la seconda guerra mondiale. L’ambiente è strettissimo e angusto e anche se nel mondo reale si è invece in uno spazio ampio si avverte la claustrofobia.
Dentro l’aereo 4-5 persone lavorano al bombardamento: chi pilota, chi controlla le mappe, chi sta alla radio. L’audio delle loro conversazioni è autentico, è la registrazione di un vero equipaggio e di un vero volo del 1938. Partono e vediamo dagli oblò la notte arrivare, poi con uno stacco siamo in volo con altri aerei vicini in uno squadrone che approccia la Germania e da terra iniziano i proiettori antiaerei. Un altro stacco e siamo su Berlino.
Ovviamente spostandosi con un passo di lato si può uscire dalla carlinga e vedere da fuori il mondo sotto e l’aereo, le luci di contraerea e gli spari che arrivano da Terra per abbattere aerei così pesanti che non possono deviare, solo sperare di non essere presi. Nonostante sia tutto molto statico la tensione è alta, gli scenari di Berlino in fiamme sono fantastici e le voci monocordi dei piloti, una volta superata la città intatti quando vedono le scogliere di Dover, si sciolgono in battute, risate e una canzone cantata per la gioia d’essere vivi.