«Entro il 2100 ci saranno 36 milioni di italiani. Si capisce a che compressione della forza lavoro andiamo incontro. Se non investiamo sulla robotica non saremo in grado di erogare servizi. Avremo ospedali senza infermieri, magazzini senza addetti». Daniele Pucci, 39 anni, è Head of Artificial and Mechanical Intelligence all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) a Genova, uno dei poli d’eccellenza del nostro Paese per quanto riguarda ricerca e innovazione.
In questa intervista ci ha parlato di previsioni a lungo termine, ma anche di tecnologie che tra pochi anni potranno svolgere ruoli e mansioni fondamentali. Da molti anni è al lavoro su iCub, robot umanoide alto un metro. «Ce ne sono una cinquantina in giro per il mondo. L’IIT, essendo fondazione non profit, li ha venduti al costo di produzione: 250mila euro». Ma le cose cambiano in fretta, con Big Tech al lavoro mentre Stati Uniti e Cina guidano gli investimenti nel settore. «L’Europa ha bisogno di un’alternativa. Stiamo pensando di spinoffare la più grande operazione umanoide in Europa».
Perché l’IIT ha costruito il robot umanoide iCub?
Prima di rispondere a questa domanda è bene capire il profilo che abbiamo intervistato. Nato a Velletri, a sud di Roma, Daniele Pucci ha studiato alla Sapienza laureandosi prima in triennale in Automatica, poi in specialistca in Sistemi di controllo. A questo percorso ha aggiunto due dottorati in Sistemi avionici e Sistemi di controllo, studiando in Francia. «Durante i primi anni di studi ho anche vinto una borsa di studio per andare al MIT di Boston, ma per varie ragioni non ci sono andato».
Non devono essersi risentiti Oltreoceano, dal momento che nel 2019 la MIT Technology Review lo ha inserito nella lista dei 35 innovatori under 35 d’Europa nella categoria “Intelligenza Artificiale e Robotica”. «Sono cornici rispetto al lavoro. Sono conseguenze. Alcuni cercano di massimizzare, ma non sono quel tipo di ricercatore». Daniele Pucci è all’IIT di Genova da 11 anni. Il suo ex capo che è andato a lavorare per Google DeepMind, giusto per inquadrare il livello dell’organico.
«Nel nostro team siamo una cinquantina di ingegneri. L’obiettivo è guidare lo sviluppo in termine di morfologia e di intelligenza del robot». L’umanoide iCub, come lo ha descritto Daniele Pucci, è uno dei progetti di maggior successo dell’Istituto Italiano di Tecnologia, punto di partenza da cui sono state sviluppate due versioni – ergoCub e iRonCub – modelli pensati per svolgere compiti differenti.
«L’idea risale al 2006, quando ero ancora all’università. Il primo prototipo è del 2009, dopodiché è diventato una piattaforma di ricerca. Per all’incirca dieci anni iCub è stato un umanoide open source con disegni meccanici e software a cui i ricercatori potevano contribuire. Una sorta di Linux con l’hardware». Pensate a un robot su cui poter far ricerca, pensato per testare. «Non era un dispositivo per fare qualcosa, ma soltanto finalizzato ai ricercatori. Se un neuroscienziato doveva capire quale fosse il principio che regola il movimento di un essere umano allora il robot gli era utile. Rimane una grande storia di successo».
Che cos’è ergoCub, il robot sviluppato con Inail?
L’approccio però è cambiato: di fronte all’impatto che LLM, AI e applicazioni robotiche possono avere nella vita di tutti i giorni, così come nell’industria e nella medicina, l’obiettivo si è evoluto. «Con Inail, ad esempio, abbiamo lanciato il progetto ergoCub, con lo scopo di migliorare l’ergonomia dei lavoratori. Le statistiche sugli infortuni riferiscono che il 70% coinvolge l’apparato muscolo scheletrico e il tessuto connettivo. In parole povere – ha detto Daniele Pucci – mal di schiena, per questione di spostamenti di carichi».
Come può dunque un robot risolvere queste situazioni di rischio e ridurre drasticamente i rischi per i lavoratori? «Lavoriamo per far indossare sensoristica alle persone, in grado di predire situazioni pericolose grazie all’AI. E poi c’è l’umanoide che fa da supporto». Un passo in più verso la sostituzione nelle fabbriche?
«Non voglio fare l’utopista – ha commentato Daniele Pucci -. Ci sarà senz’altro lavoro di reskilling da fare. Ma torno a ripetere che c’è un errore di fondo: se non investiamo in robotica, la crisi demografica ci metterà di fronte a una crisi nel mondo dei servizi». Esponendoci, per l’ennesima volta, a subire la dipendenza da prodotti e tecnologie extra-europee. Con tutte le questioni sensibili su sicurezza e trattamento dati che comporta.
Problemi e opportunità dell’embodied AI
Tecnologie europee sono auspicabili nella robotica sotto tanti punti di vista. «Anche perché si mette al sicuro la popolazione europea. L’AI nel cellulare è una cosa, ma un robot umanoide che gira per casa deve rispettare standard di sicurezza europei». Sono diverse le realtà internazionali al lavoro. Tesla, che da anni viene definita un’azienda di robotica e non di automobili, ha progetti ambiziosi su Optimus: secondo Musk la società potrebbe arrivare a valere 25 trilioni di dollari (oggi l’azienda di maggior valore al mondo è Apple, con 3,4 trilioni di dollari).
Oltreoceano c’è Figure AI, che ha ricevuto investimenti da Nvidia e Amazon: i suoi robot parlano grazie alla tecnologia di OpenAI e hanno dimostrato una manualità notevole. C’è poi Boston Dynamics, di proprietà di Hyundai, che negli anni ha reso pop e virali i video dei propri Atlas, tra parkour e attività più pesanti. «Pure in Cina stanno investendo moltissimo – ha ricordato Daniele Pucci -. AI con un corpo proprio per risolvere i problemi futuri. L’Europa, che un tempo aveva vantaggi sulla robotica, non sta facendo molto».
Cosa fa iRonCub, il robot dell’IIT che vola
L’AI e la robotica, lo abbiamo già visto, può fare molto anche nel sostituire le persone nelle attività più pericolose. Una di queste riguarda le operazioni di salvataggio a seguito di calamità naturali come incendi e terremoti.
«In questo tipo di contesti abbiamo bisogno di tecnologie che permettano all’essere umano di intervenire da remoto. Questo robot atterra nel luogo disastrato, si muove in un ambiente complicato, deve camminare, cercare superstiti, chiudere valvole. A questo serve iRonCub, che è in fase di testing». I tempi, in questo caso, non saranno brevi: almeno 10 anni. «Questo robot – ha spiegato Daniele Pucci – è il nostro equivalente di Atlas per Boston Dynamics: facciamo ricerca di altissimo livello. Esce gas a 800 gradi, abbiamo AI, aerodinamica. È per noi un momento in cui creiamo tecnologia».
Per alcuni è un tema troppo in là nel tempo per occuparsene (e preoccuparsene). «In realtà è ragionevole pensare che tra cinque anni avremo un assistente umanoide in un magazzino. O un’altro di tipo cognitivo per i malati di Alzheimer, pensati per percorsi di riabilitazione». Di nuovo, quanto intimorisce questo scenario? Le paure sono legittime, ma per chi ci lavora da oltre dieci anni bisogna ribaltare la prospettiva.
«I robot umanoidi diventano più umani quando cominciano a sbagliare. Quando abbiamo addestrato iCub con modelli non avevamo certezza di come si sarebbero comportati. C’è stato un effetto wow – ha concluso Daniele Pucci -. Nel momento in cui accettiamo questa imprevedibilità, l’essere umano si avvicina al robot».