Ci avviciniamo a SIOS24 Summer “Intelligenza Multiple”, in programma il 20 giugno a Roma, negli spazi del Gazometro di via Ostiense. Il nostro percorso editoriale di avvicinamento con interviste e approfondimenti sull’ecosistema romano delle startup, alla scoperta dei protagonisti nei singoli comparti, dalle aziende ai venture capital fino agli stakeholder.
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«Nasciamo a Milano ma siamo anche a Roma, perché il nostro primo fondo di technology transfer collabora con decine di università e centri di ricerca: è fondamentale aver un avamposto nel Centro Italia, anche per essere più vicini al Sud, che sempre più è una fucina di talenti. Buona parte dei ricercatori non ha però un’adeguata visibilità su come valorizzare il proprio lavoro e la terza missione non spinge abbastanza verso la costituzione di spinoff». In vista di SIOS24 Summer, “Intelligenze Multiple”, in programma a Roma il 20 giugno, facciamo tappa nella Capitale per incontrare Stefano Peroncini, Ceo di Eureka! Venture, società di VC deeptech con il focus su team che maturano progetti di business ad alto valore tecnologico.
Da tempo su StartupItalia raccontiamo il panorama dei Venture Capital, intervistandone i protagonisti. L’ecosistema è cresciuto negli ultimi anni, con un 2024 che in termini di round sembra traghettarci verso una fase di normalizzazione. La direzione impostata da CDP Venture Capital nel piano industriale 2024/2028 punta a investimenti diretti strategici in settori come spacetech e industry tech, con una gestione complessiva a tendere di 8 miliardi di euro. Negli ultimi anni si è rafforzato il comparto, con fondi non generalisti, a loro volta attivi su verticali promettenti. Prima di parlarcene, Stefano Peroncini ha voluto guardarsi alle spalle, per individuare le tappe degli ultimi decenni di innovazione in Italia, a cominciare dall’operato dei pionieri.
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Venture Capital in Italia: la cronistoria
«In Italia il Venture Capital si può suddividere in quattro ondate: poco prima degli anni 2000 i player erano tutti sulle dot com: cito l’esempio di Pino Venture; poi è arrivata la generazione successiva nei primi anni 2000, con realtà generaliste come Vertis SGR, Innogest SGR e Quantica SGR, di cui sono stato fondatore; verso il 2010, grazie al Fondo Italiano di investimento, sono emersi soggetti più verticali come P101, Primomiglio e Panakès Partners».
L’ultima ondata, quella in corso, è figlia della rinnovata attenzione da parte delle istituzioni verso l’ecosistema startup. Dopo il lancio del Fondo Nazionale Innovazione con CDP Venture Capital nel 2019 sono nati soggetti specializzati in deeptech come Eureka! e LIFTT, di cui recentemente abbiamo intervistato il Ceo Giovanni Tesoriere.
Fondata a Milano proprio nel 2019, Eureka! ha aperto una sede anche a Roma, con quegli obiettivi appunto di rimanere a più stretto contatto con università e laboratori non soltanto del nord, ma lungo tutto lo Stivale. «Gestiamo complessivamente 110 milioni di euro in due fondi, Eureka! Fund – Technology Transfer e BlackSheep Fund: finora abbiamo fatto 36 investimenti su tech transfer, software e intelligenza artificiale, con un Nav aggregato dei fondi pari a 50 milioni di euro e già le prime exit con IRR medi del 30%».
AI: il rischio di farsi male
Come si diceva il 2024 dà segnali di contrazione e in parte stabilizzazione dell’ecosistema, al netto delle maggiori difficoltà nelle fasi di raccolta. «Registriamo correzioni in tutte le metriche: ammontare raccolto, ammontare investito, valutazione, numero di unicorni, numeri di IPO». E poi c’è l’intelligenza artificiale, parola che rischia di sedurre troppo.
«A livello globale mi ha colpito il fatto nell’AI gli investimenti riscontrino numeri quasi da bolla: ricordano un po’ l’ondata fintech di qualche anno fa. Ci sono deal da miliardi di dollari che sfalsano le statistiche e che renderanno la competizione enormemente più complessa. Non c’è dubbio – ha aggiunto – che passata l’euforia del momento l’AI sia destinata a restare e a sconvolgere i modi con cui siamo da sempre abituati a lavorare, in molteplici settori industriali e campi di attività».
Stefano Peroncini ha una lunga esperienza nel settore del Venture Capital: nel 2002 ha infatti costituito Quantica SGR. «Cominciavamo a fare i primi investimenti VC, soprattutto sul trasferimento tecnologico. Tra i soci fondatori c’era l’Istituto Nazionale per la Fisica della materia, confluito poi nel CNR». In vent’anni, come si dice, è cambiato il mondo (forse più di uno) e per quanto ancora in ritardo rispetto ad altri contesti europei, l’ecosistema tricolore è forte di un network popolato da centri di ricerca, atenei, VC, acceleratori, incubatori e stakeholder.
Startup in Italia: come far crescere l’ecosistema
«Se devo guardare alle prospettive del 2024 in Italia vedo una parziale ripresa, ma sempre con difficoltà. Negli ultimi anni siamo passati da 1 a 2 miliardi, per poi ritirarci in termini di raccolta. Ma credo che ormai il valore del miliardo vada inteso come consolidato». La prossima generazione di fondi e di startup potrebbe senz’altro trarre beneficio dal volano di CDP Venture Capital. «CDP ha compiuto una scelta saggia nel selezionare i verticali nel piano industriale, con grande spazio al deep tech, cosi come sta accadendo anche in Europa. Nel 2019 era corretto partire come VC generalista».
A ciascuno il suo, in altre parole. Eureka! Fund, ad esempio, dialoga soprattutto con chi fa ricerca scientifica, profili che non sempre comprendono le dinamiche di un Venture Capital tradizionale. «Quando ti siedi a parlare con un ricercatore il fatto di capire di cosa sta parlando lo mette subito a suo agio, per questo nel team abbiamo fisici, chimici e PhD nei materiali. I brevetti ce li studiamo per conto nostro quando facciamo la due diligence».
Sembra banale, ma la crescita deriva dai maggiori investimenti, a loro volta da sbloccare agendo da varie angolazioni. In base a quanto ci ha raccontato Stefano Peroncini, è come se parte della soluzione derivi anche da una narrazione diversa – quella che da più di dieci anni portiamo avanti sul nostro magazine -, che metta in fila i vantaggi degli investimenti nel VC. «Servirebbero più capitali istituzionali. I fondi sono in grado di investire se a loro volto raccolgono dagli investitori istituzionali: solo che non ci sono casse previdenziali o assicurazioni disposte in maniera sistemica. Questo è un tema su cui l’industry dibatte da un ventennio».