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In attesa della cerimonia dei Grant 2021, il 25 marzo, le parole del Presidente di Fondazione Umberto Veronesi e Direttore Divisione Senologia Chirurgica dello IEO
Giovedì 25 marzo, dalle 18:30 alle 19:30, andrà in onda la cerimonia di consegna dei Grant 2021, evento con cui la Fondazione Umberto Veronesi valorizza e premia i ricercatori vincitori di borse di ricerca negli ambiti dell’oncologia, cardiologia, neuroscienze e stili di vita per la prevenzione. L’evento coinvolge rappresentanti delle istituzioni, relatori d’eccezione ed ex-pazienti per condividere un momento di confronto sulla centralità della salute e per sottolineare l’importanza della ricerca scientifica come elemento fondamentale per migliorare la qualità e la prospettiva di vita di tutti. In attesa della cerimonia – che trasmetteremo in streaming anche noi di StartupItalia – abbiamo intervistato il Professore Paolo Veronesi, Presidente di Fondazione Umberto Veronesi e Direttore Divisione Senologia Chirurgica dello IEO.
L’intervista
Che cosa rappresenta per voi l’appuntamento Grant 2021?
«È l’appuntamento più importante dell’anno. Il momento in cui si concretizzano l’impegno di un anno di lavoro e la partecipazione dei tanti sostenitori lungimiranti, cittadini e imprese, che riconoscono nella ricerca un investimento per il futuro di tutti. Quest’anno, per la seconda volta, non potremo convocare in presenza tutte le ricercatrici e i ricercatori che si sono aggiudicati una borsa di ricerca Fondazione Umberto Veronesi. Non potremo stringere loro la mano, né vedere gli sguardi orgogliosi dei loro familiari. Sarà una cerimonia in formato digitale, ma avrà un significato importantissimo proprio perché l’importanza della conoscenza scientifica nelle nostre vite non è mai stata così chiara, a tutti. E conferma ne è anche la partecipazione sentita di grandi personaggi della scienza e della politica»
A un anno dallo scoppio della pandemia come si è evoluto il lavoro di Fondazione Umberto Veronesi?
«Si tratta della più grave emergenza sanitaria, sociale ed economica dal dopoguerra ad oggi, per nazioni come la nostra. Anche Fondazione Umberto Veronesi naturalmente ha partecipato allo sforzo comune e ha finanziato undici progetti di ricerca per studiare terapie, sistemi di diagnostica e di rilevazione contro l’epidemia. Il tutto sempre con un occhio particolarmente attento alle persone più vulnerabili, come i malati di tumore, adulti, ragazzi e bambini, e i portatori di patologie croniche.
Ma c’è di più. Il Covid-19 ci ha costretti a sperimentare nuove modalità di lavoro e di relazione; le nostre attività di divulgazione e di informazione sono state trasferite nel mondo digitale. Persino le iniziative di raccolta fondi e di aggregazione. Accadeva anche prima, ma era un’opzione, per taluni e in talune circostanze, mentre ora non abbiamo scelta. Torneremo ad incontrare le persone, gli allievi delle scuole, i ricercatori, i cittadini; torneremo a correre in tantissimi per sensibilizzare sui tumori femminili e per sostenere la ricerca d’eccellenza. Ma ora stiamo imparando che le tecnologie del digitale, se ben utilizzate, ci possono aiutare a conoscere il mondo e persino a valorizzare le relazioni che ora ci mancano».
Ritiene che in Italia sia cresciuta la consapevolezza del ruolo che gioca la ricerca scientifica?
«Sì, assolutamente. Mai come ora abbiamo capito il legame profondo fra la nostra salute, la salute dell’ambiente e la ricerca scientifica. Si è data grande attenzione e grande sostegno alla ricerca contro il Covid-19, naturalmente. E se oggi abbiamo vaccini efficaci e stiamo studiando protocolli di cura e nuovi test è grazie a questi sforzi, inauditi e globali. Vorrei però sottolineare un aspetto importante: i risultati di oggi dipendono dal lavoro fatto in passato. Pensiamo soltanto alle scoperte sul DNA. Questa pandemia segnerà la scienza biomedica per anni, e sappiamo anche che questa emergenza non sarà l’ultima: dovremo affrontare altri agenti patogeni emergenti, crisi climatica, resistenza agli antibiotici, invecchiamento, malattie croniche. Sono questi i fronti su cui si giocherà una partita cruciale e avremo delle chance di vincerla solo se passeremo dall’ottica emergenziale ad un sostegno alla ricerca sistematico, lungimirante e organizzato».
Come Fondazione Veronesi quali sono i vostri obiettivi a lungo termine per diffondere l’importanza del ruolo della ricerca? Da quale pubblico partite?
«In primo luogo continueremo a finanziare e promuovere la ricerca di altissima qualità. Ogni anno lo scopo del nostro bando è supportare progetti di ricerca clinica, di base e traslazionale. Ogni anno le application sono tante e ritroviamo un livello molto elevato, per cui selezionare non è semplice. Il lavoro di queste scienziate e scienziati deve rispecchiare l’orizzonte a cui oggi guarda la comunità scientifica mondiale, ovvero alla combinazione di conoscenze su genetica, stili di vita e ambiente.
Al tempo stesso, ci adoperiamo perché, per citare mio padre Umberto, la ricerca “esca dai laboratori e scenda nelle piazze”, perché sia comprensibile e visibile a tutti il valore della ricerca, anche in termini sociali ed economici, per capire che non è un costo ma un investimento irrinunciabile. Inoltre ci vuole un’ottica progettuale strutturata a livello sovranazionale, senza cui resteremmo zoppi: per questo con Fondazione Umberto Veronesi abbiamo lanciato un appello, e aderito a iniziative analoghe, per chiedere di aumentare gli investimenti in Ricerca e sviluppo, passando nei prossimi cinque anni dall’attuale 1,43% del PIL al 3% del PIL, il livello caldeggiato dall’Unione Europea».