Per il nostro longform domenicale lo scienziato italiano dell’IIT di Milano Mario Caironi ci racconta com’è nata la prima batteria al mondo commestibile e ricaricabile e la sua ricetta per il successo: «La ricerca è fatta di tanti fallimenti. Bisogna lavorare con entusiasmo, avere un’attitudine positiva e saper collaborare»
«Per proporre qualcosa di innovativo, come la batteria commestibile, occorre partire da una base solida di conoscenze. Le idee di partenza, però, devono andare incontro a un’evoluzione grazie agli stimoli e alle intuizioni che provengono dalla ricerca.» Quarantacinque anni, bergamasco di origine, Mario Caironi spiega così com’è giunto a ideare il primo prototipo al mondo di batteria edibile e ricaricabile. L’elettronica edibile è un contesto di ricerca che si innesta su un lungo percorso di studi, che Caironi ha cominciato nell’ambito dell’elettronica organica e stampata. «Mi sono appassionato all’elettronica organica già ai tempi della tesi di laurea, conseguita presso il Politecnico di Milano», racconta Caironi. Dopo il dottorato di ricerca, è il trasferimento presso il Cavedish Laboratory di Cambridge a contribuire ulteriormente alla sua crescita professionale. “Presso il laboratorio di Henning Sirringhaus, uno dei massimi esperti di dispositivi elettronici a base di carbonio usati come inchiostri, ho imparato sia a studiare questi materiali che a utilizzare diverse tecniche di stampa”. Dal 2010 Caironi è coordinatore del Printed and Molecular Electronics Laboratory del Centro IIT di Milano. Alla realizzazione di elettronica edibile approda solo nel 2017. «L’idea parte dall’elettronica al carbonio, perché dal punto di vista chimico le molecole sono simili. Tuttavia in questo caso, le molecole inserite nella batteria provengono dal cibo».
Concepire una nuova batteria
Un sistema elettronico che possa essere ingerito deve essere atossico. La vera sfida non è creare piccoli robot, micro-sensori o pillole intelligenti. È alimentare tali dispositivi con batterie che non siano tossiche o dannose per la salute. «Anche se la batteria è una tecnologia consolidata, per realizzarne una commestibile abbiamo dovuto cambiare l’architettura e la configurazione delle batterie tradizionali. In primo luogo, abbiamo dovuto individuare una coppia di molecole che generasse la tensione in uscita per rendere la batteria veramente tale». Si è trattato di individuare molecole facilmente reperibili, ad esempio dal cibo di scarto. Il laboratorio di Caironi, infatti, ha una grande attenzione alla sostenibilità in tutti i suoi progetti. Caricarsi senza degradarsi e facilità di manipolazione in laboratorio erano due proprietà essenziali delle molecole prescelte. E poi ci sono state le prove di accoppiamento. Fino a ottenere un potenziale stabile.
La coppia più stabile è stata quella costituita riboflavina (o vitamina B2) all’anodo e quercetina (una sostanza presente in mandorle e capperi) al catodo. Il separatore, necessario in ogni batteria per evitare cortocircuiti, è stato realizzato con alghe nori, comunemente utilizzate nella preparazione del sushi. Infine, gli elettrodi sono stati incapsulati in cera d’api da cui escono, a partire da un supporto derivato dalla cellulosa, due contatti in oro alimentare, la stessa pellicola usata a volte dai pasticceri per le decorazioni.
Il gioco di squadra
«La prima volta che la batteria ha funzionato io l’ho vista solo tramite un video condiviso su Whatsapp. Ero all’estero per lavoro. In laboratorio c’era Ivan Ilic, primo autore della ricerca», racconta Caironi. Ilic è anche colui che ha individuato le molecole commestibili che hanno permesso la realizzazione della batteria. Sono state necessarie numerose prove per trovare i giusti accoppiamenti capaci di garantire un passaggio di corrente. Caratterizzare e selezionare le molecole è stata un’avventura.
«Il momento più emozionante è stato quello in cui abbiamo connesso gli elettrodi a un piccolo led a bassa potenza. Il led si è acceso. Sapevamo che tutto doveva funzionare in base alle nostre stime. Ma vedere la batteria in azione è stata l’emozione più grande», dice Caironi facendo trasparire il suo entusiasmo.
La ricerca condotta dal gruppo di Caironi è multidisciplinare. «Quando seleziono nuovi componenti per il mio gruppo di ricerca è indispensabile individuare persone con competenze complementari a quelle del team già consolidato”. Ecco il criterio usato da Caironi per creare il suo team che è composto da studenti e numerosi post-doc. Ivan Ilic in precedenza lavorava in Germania sulle batterie organiche sostenibili. Ecco perché la scelta è ricaduta su di lui. Anche la batteria edibile doveva essere sostenibile. “È stato interessante osservare le interazioni tra lui e gli scienziati della materia e gli ingegneri chimici e elettronici del mio team. Si è creato un gruppo molto forte, basato su divisione delle competenze e entusiasmo» ha commentato Caironi.
Ma per fare ricerca non è indispensabile solo una preparazione specifica e approfondita. «Per me, è fondamentale lavorare con persone motivate e innamorate dell’obiettivo. La ricerca è fatta di tanti fallimenti. Bisogna lavorare con entusiasmo, avere un’attitudine positiva e saper collaborare con gli altri», sostiene Caironi. Del resto la ricerca è fatta anche di problemi e imprevisti che devono essere affrontati e magari risolti. “La ricerca richiede la capacità di affidarsi e lanciarsi verso quella possibilità, spesso unica, che porta a un risultato positivo dei propri esperimenti» aggiunge Caironi.
Il futuro della batteria edibile
Per adesso Caironi e il suo team si godono la gioia di aver creato un prototipo funzionante della batteria. I risultati ottenuti sono già stati pubblicati su Advanced Materials. Le applicazioni future che sono suggerite nell’articolo riguardano la possibilità di monitorare la qualità dei cibi e quella di inserire la batteria in strumenti diagnostici da ingerire. Ma concretamente quali saranno i prossimi passi per questa ricerca? «Il primo obiettivo è aumentare la capacità della batteria, mantenendo lo stesso volume. Così possiamo miniaturizzarla e andare verso applicazioni specifiche», spiega lo scienziato.
Per le applicazioni specifiche che saranno di prossima realizzazione, Caironi pensa di sfruttare una pillola commestibile che può monitorare il rilascio passivo di un farmaco all’interno del corpo. L’idea di usare la batteria in questa applicazione nasce dal fatto che la pillola commestibile possiede già un brevetto. «La batteria commestibile è nata proprio dall’esigenza concreta di far funzionare la pillola. Vedere la pillola nel pieno delle sue funzionalità è un obiettivo molto stimolante per tutto il team. Ma i tempi di sviluppo saranno lunghi perché occorrono certificazioni e autorizzazioni. Tuttavia, sono molto soddisfatto della direzione che ha preso questa ricerca», conclude Caironi.