Come introdurre nella sanità italiana sistemi che assicurino sostenibilità, equità e senso di comunità? Quali strumenti, modelli e relazioni mettere in campo? L’analisi di Simona Bielli
Salute collaborativa: un approccio alla cura che introduce il tema della sostenibilità in sanità, tanto dal punto di vista economico quanto sociale. Questa strategia, al centro del rapporto “La cura che cambia” di Nesta Italia, si fonda su una serie di innovazioni introdotte con il solo scopo di mettere al centro e in relazione la persona colpita da una patologia.
La collaborazione prende avvio innanzitutto nel rapporto tra il paziente e la sua malattia. Si parla di empowerment del paziente, cioè del suo diretto coinvolgimento nel percorso di cura. Poi la collaborazione si estende a formare una rete: tra il medico e il paziente con un rapporto alla pari e tra il paziente e il caregiver, opportunamente coinvolto. Nella collaborazioni, infine, è responsabilizzata tutta la comunità.
“I progetti di salute collaborativa vanno a colmare i gap lasciati dai Servizi di Sanità Nazionale. Mettendo in campo strumenti, modelli e relazioni che possono offrire alle persona bisognosa di cure servizi che siano continuativi, tempestivi e personalizzati”, spiega Simona Bielli, Head of Programmes di Nesta Italia.
La sostenibilità della Sanità, le sfide italiane
La Sanità in un Paese che invecchia si trova ad affrontare diverse sfide. Secondo le stime di “Health at a glance, 2020” il rapporto dell’OECD, in Europa l’aspettativa di vita alla nascita ha raggiunto gli 81 anni nel 2018. La Spagna e l’Italia hanno la più alta aspettativa di vita tra i paesi dell’Unione Europea. Hanno un’aspettativa di vita che ha raggiunto oltre 83 anni nel 2018.
Invecchiamento si traduce in aumento delle malattie croniche. Sulla base dell’ultima indagine SHARE (Health, Ageing and Retirement in Europe), circa il 37% delle persone di età pari o superiore a 65 anni ha riferito di avere almeno due malattie croniche in media nei paesi europei nel 2017.
La maggiore diffusione delle malattie croniche significa una crescente richiesta di assistenza.
Circa il 30% degli europei di età superiore ai 65 anni ha riferito di avere almeno una limitazione nelle attività della vita quotidiana. Le persone di 65 anni, in Italia, hanno una speranza di vita di 22.8 anni nel caso delle donne e di 19,8 per gli uomini. Tuttavia, guardando agli anni attesi senza limitazioni, la speranza si abbassa a 9,2 e 9,8 anni rispettivamente (Dati, Rapporto Osservasalute 2020). E l’assistenza ha un costo rilevante.
“Cambia la richiesta dei servizi offerti, in un contesto in cui la Sanità è abituata a rivolgersi principalmente alla cura e alla gestione delle acuzie”. Per tutte le altre visite o interventi permangono lunghissime liste d’attesa. “Chi se lo può permettere sostiene le spese per visite private, mentre gli altri non accedono ai servizi di salute o vi accedono dopo diversi mesi. E invece dovrebbero essere garantiti in modo equo dallo Stato”.
Gli attrezzi della salute collaborativa
Nel 2018, Nesta Italia con Agenzia Lama e WeMake hanno voluto offrire una categorizzazione (framework) utile a riordinare e fare emergere una serie di interessanti iniziative già esistenti sul territorio italiano, che hanno permesso di superare alcune carenze del Sistema Sanitario Nazionale. Sono storie di pazienti con malattie croniche, disabilità, malattie rare o di caregiver che seguono situazioni del genere. E sono tutte caratterizzate da un tentativo di assicurare loro empowerment, responsabilizzazione e collaborazione.
I cardini su cui si fonda il cambiamento proposto sono tre: accesso ai dati (OpenCare), tecnologie digitali e coinvolgimento della collettività. Ciò assicurerà prevenzione e autogestione delle malattie croniche, l’umanizzazione delle cure e un maggiore accesso ai servizi.
Ma quali competenze sono necessarie per introdurre le componenti chiave della salute collaborativa all’interno della Sanità?
“Empatia e competenze relazionali, conoscenza specifica del tipo di malattia o condizione che si intende affrontare, ma anche competenze digitali e tecnologiche”, dice Bielli. “E poi per assicurare un prodotto solido e duraturo nel tempo, sono inoltre necessarie competenze di fundraising (raccolta fondi), costruzione di partnership e di business, conoscenza del terzo settore”.
Alcune di queste competenze sono anche citate nel report The Future of Skills: Employment in 2030 come requisiti fondamentali per entrare nel mercato del lavoro nel prossimo futuro.
Cosa separa la sanità dalla sostenibilità?
Premesso che la sanità collaborativa non è alternativa, ma complementare al Sistema Sanitario Nazionale, resta grande la necessità di servizi adeguati per disabili e pazienti cronici.
“A mio avviso ciò che manca è una visione d’insieme, un’azione dall’alto di coordinamento che metta in rete i servizi del SNN con le tante iniziative di Salute Collaborativa che sono presenti sul territorio”, commenta Bielli. “Ciò consentirebbe di sostenere tali iniziative sia da un punto di vista di visibilità e riconoscimento che, in alcuni casi virtuosi in termini di impatto generato, da un punto di vista economico”.
Molti dei progetti citati nel report, infatti, purtroppo hanno avuto successo solo grazie alle risorse e competenze dei loro promotori. “È fondamentale saper costruire partnership forti con gli ospedali o altre strutture dell’SNN, con la città o con le scuole”. È il caso di TOMMI, per esempio.
“In altri casi, i fondi per la ricerca e acquisto materiali sono essenziali – si veda il caso Bimbe dagli occhi belli”.
Il caso studio Centro Sociale Residenziale del Comune di Lastra a Signa dimostra come sia importante garantire l’accessibilità del servizio anche ai meno abbienti, rispettando pari standard di qualità.
Il report “La cura che cambia” è stata una fotografia dei progetti che incarnano i principi sottostanti la visione di Salute Collaborativa. I suoi frutti, che vedremo nel futuro, sono legati alla sua disseminazione presso le università, gli incubatori, e le fondazioni. “L’obiettivo è identificare e promuovere nuove iniziative sul territorio di Salute Collaborativa”, conclude Simona Bielli.