Rapidità, accuratezza e scarsa invasività. Sono le caratteristiche che deve avere un test capace di rilevare emergenze cardiovascolari gravi. Il progetto SENSOCARD ne ha messo a punto uno destinato a diffondersi.
Un’emergenza vascolare ha bisogno di sistemi di rilevazione in grado di fornire risultati in un periodo di tempo molto breve e su campioni di sangue a volume ridotto. Occorre intervenire in modo tempestivo e là dove si trova il paziente. SENSOCARD nasce per rispondere a tale esigenza. È frutto della collaborazione tra Microsis S.r.l., una società di Formello (Roma) che progetta, realizza e integra sistemi per monitoraggio e controllo in vari settori, CNR-ISM e CNR-IC. Il progetto ha permesso di realizzare un sistema prototipo per l’individuazione automatica di marcatori capaci di predire aritmie fatali, infarto acuto del miocardio e insufficienza respiratoria indotta da edema polmonare.
Le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di mortalità e morbilità nei paesi industrializzati. Nel 40% dei casi la morte improvvisa è il primo sintomo di una grave coronaropatia fino ad allora silente. Pertanto l’immediata diagnosi di infarto o di presenza di aritmie potenzialmente fatali è l’arma più efficace.
Mattea Carmen Castrovilli, ricercatrice presso il CNR-ISM, sotto la guida del responsabile del progetto Lorenzo Avaldi, ha seguito lo sviluppo del sensore per la rivelazione della troponina cardiaca. La troponina è nota per essere un indicatore di stress cardiaco. La rilevazione di alti valori di troponina nel sangue in maniera tempestiva può fare la differenza nella cura del paziente.
Il sensore si integra all’interno di una piattaforma multifunzione, chiamata DIREC+ che combina la misurazione della saturazione dell’emoglobina nel sangue e della pressione arteriosa con i dati dell’elettrocardiogramma e della conduttività elettrica del torace.
“L’occasione per la collaborazione è stato il Bando Progetti Strategici nel settore Life-Science della Regione Lazio del 2019”, hanno raccontato Castrovilli e Avaldi. “Microsis e il nostro gruppo hanno partecipato congiuntamente al bando con un progetto in cui noi abbiamo proposto di aggiungere alla piattaforma DIREC+ anche un sensore per la misura della troponina”.
Da dove nasce l’idea del sensore
“ll nostro gruppo di ricerca all’Istituto di Struttura della Materia del CNR si è sempre occupato della caratterizzazione chimico-fisica di varie specie molecolari per collegare, per esempio, struttura e funzioni delle molecole”, racconta Avaldi.
Negli ultimi tempi l’attenzione del gruppo si è rivolta a molecole di interesse biologico. “Per studiare queste molecole è necessario produrre un fascio di molecole in fase gassosa. È il modo per evitare che le interazioni con l’ambiente possano alterare le loro proprietà”. Di solito, si ottiene un gas scaldando la soluzione che contiene le molecole di interesse. Ma con le molecole biologiche non è possibile perché sarebbero irrimediabilmente danneggiate dal trattamento ad alte temperature.
“Nella ricerca di tecniche per risolvere questo problema abbiamo identificato come particolarmente adatta la ionizzazione per elettrospray”, raccontano Avaldi e Castrovilli.
È una tecnica messa a punto da John Fenn, che nel 2002 lo ha portato al nobel per la chimica. La tecnica permette di formare piccole goccioline elettricamente cariche, destinate a esplodere a causa delle loro cariche elettriche che provocano forze di repulsione. A seguito delle esplosioni, le goccioline diventano sempre più piccole fino ad eliminare completamente le molecole di solvente e creare un fascio di ioni della molecola da studiare. I fasci molecolari così ottenuti consentono lo studio delle caratteristiche delle molecole.
“Abbiamo realizzato subito che lasciando depositare il fascio su delle superfici opportune avremmo potuto sfruttare le proprietà di queste molecole per realizzare dei sensori elettrochimici”, racconta Castrovilli. “La prima applicazione che abbiamo tentato è stata la realizzazione di un sensore a base dell’enzima laccasi per la determinazione di polifenoli”. La laccasi è infatti un enzima presente in natura capace di aumentare la velocità della reazione di ossidazione dei polifenoli, composti presenti per esempio anche nel vino.
La nascita del sensore per la troponina
Mattea Carmen Castrovilli ha seguito lo sviluppo dello strumento per la deposizione delle molecole sotto forma di spray. Inoltre si è occupata di standardizzare la tecnica e tutte le applicazioni biosensoristiche precedenti allo sviluppo del sensore per la rivelazione della troponina.
A sostenerla c’è stato il gruppo di ricerca, composto da chimici e fisici. È stata determinante la capacità del gruppo di progettare e realizzare strumentazione originale per misure chimico – fisiche.
L’Istituto di Cristallografia del CNR, il Dipartimento di Chimica dell’Università Sapienza e quello di Scienze e Tecnologie Chimiche dell’Università di Tor Vergata hanno contribuito alle attività connesse con la deposizione di molecole.
Il sensore è formato da aptameri, cioè filamenti di DNA a catena singola con un’opportuna sequenza che sono deposti per elettrospray su un elettrodo. Gli aptameri consentono di rivelare concentrazioni di troponina in campioni di siero. L’interazione biochimica tra aptamero e troponina si trasforma in segnale elettrico misurabile.
Siamo di fronte a un nuovo caso Theranos?
Il sogno di creare un sensore poco costoso, capace di monitorare vari parametri a partire da una goccia di sangue, non è nuovo. Ci aveva provato anche la ditta Theranos, una start-up statunitense partita da 4,5 miliardi di patrimonio e poi fallita. Fu una vera e propria truffa e la giustizia dimostrò che la promessa di poter rilevare 240 molecole diverse e di interesse medico da una goccia di sangue era un vero e proprio inganno.
“La differenza sostanziale con Theranos è che il nostro sensore mira alla misura in una goccia di sangue di una specifica specie”, commenta Avaldi. È un principio molto simile a quello già utilizzato per i sensori per la glicemia. “Inoltre, la piattaforma DIREC+ nasce proprio con lo spirito di aggiungere un ulteriore dato a quelli forniti dagli altri strumenti diagnostici. In tal modo, l’operatore a distanza può decidere sulla necessità di un’ospedalizzazione partendo da più elementi”.
Comunque il sensore rimane un test diagnostico rapido. “Siamo coscienti che le misure realizzate dal nostro sensore non saranno mai competitive in termine di accuratezza con quelle realizzate in un laboratorio clinico da un campione di sangue venoso”.
Il futuro del sensore della troponina
Prima che il sensore possa essere commercializzato è ancora necessario confrontare e validare la risposta del biosensore su campioni di sangue con misure analoghe effettuate con la strumentazione di un laboratorio clinico.
Un’altra caratteristica importante per il sensore, è la necessità di dover essere economico.
“Il prossimo obiettivo è la standardizzazione della tecnica usando degli elettrodi di carta prodotti dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche dell’Università di Tor Vergata, hanno aggiunto i ricercatori del CNR-ISM.
Gli elettrodi di carta possono svolgere anche una funzione di filtro. Inoltre, limitano il danno ambientale generato da dispositivi usa e getta: gli elettrodi di carta sono facilmente degradabili dopo l’uso tramite combustione”.
DIREC+ è uno strumento interessante che può diventare uno strumento chiave nell’ottica della medicina personalizzata. È utile infatti a selezionare e monitorare in modo remoto, cioè senza ospedalizzazione, una vasta popolazione. Il tutto può avvenire grazie all’utilizzo di test con un buon rapporto di sensibilità e specificità, in grado di individuare i soggetti a maggiore rischio.
Foto in alto: Pexels, Karolina Grabowska