Il gioco è uno strumento capace di raccogliere dati scientifici, favorire la divulgazione scientifica o innescare un cambiamento culturale e sociale. Può dunque essere uno strumento utile alla scienza? Ce ne parlano tre scienziati che del gioco hanno fatto uno degli oggetti della loro ricerca.
La scienza del gioco sperimenta l’efficacia dei giochi per migliorare la conoscenza e le competenze. È un’area di ricerca emergente, che si sta facendo strada anche in Italia. Alcuni progetti sono stati già sperimentati per allenare l’intelligenza collettiva a trovare soluzioni a problemi difficili che l’umanità deve affrontare.
Altri costituiscono un percorso di apprendimento per l’educazione delle STEM (acronimo che sta per Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). E ci sono giochi capaci di potenziare le abilità cognitive e di promuovere la creatività umana.
Poi il gioco è diventato anche un punto di osservazione privilegiato per la ricerca. Durante il gioco è possibile comprendere le dinamiche che stanno alla base delle decisioni in un contesto di interazione con gli altri.
Un gioco è molto più di un gioco
A che punto è questa scienza in Italia? Ne abbiamo parlato con Sara Ricciardi e Stefania Varano, astrofisiche presso l’istituto Nazionale di Astrofisica, e con Roberto Di Paolo, che dopo una laurea in economia, sta conseguendo il dottorato di ricerca presso l’Università di Alicante congiuntamente alla Scuola di Alta Formazione dell’IMT di Lucca. Ricciardi e Varano che fanno parto del gruppo di lavoro Nazionale su apprendimento creativo gioco e tinkering (Play INAF). Di Paolo è membro e collaboratore del GAME Science Research Center che ha sede presso l’IMT di Lucca, ma che si tratta di un progetto a cui collaborano anche Università di Modena e Reggio Emilia e INAF.
Nello scienziato da dove nasce l’interesse per il gioco?
L’approccio al gioco avviene molto spesso per passione e interesse per questa attività.
“Nel mio caso”, racconta Stefania Varano, “mi sono avvicinata al gioco in modo inconsapevole. Ero impegnata nella creazione di attività per divulgare le conoscenze scientifiche per INAF. A posteriori ho capito che quelle attività didattiche erano giochi. Da lì è iniziata la codifica, lo studio dei metodi migliori per usare il gioco in ambito educativo e la ricerca pedagogica, sempre con il metodo scientifico che ci contraddistingue. La teoria ha seguito la pratica per migliorarla”.
“La finalità del nostro gruppo di lavoro in INAF è costruire un apprendimento esperienziale che ponga al centro il bambino”, spiega Sara Ricciardi. “Ci siamo ispirati alle teorie costruttiviste e costruzioniste di Jean Piaget e Seymour Papert”.
Che cosa ci consente di imparare un gioco?
“Nell’interpretazione più comune il gioco è uno strumento per imparare a giocare o per apprendere contenuti. Ma il gioco può essere anche un modello. Il gioco, con le sue dinamiche, è in grado di rispecchiare il mondo che ruota attorno a una disciplina”, continua Stefania Varano.
“Il gioco rappresenta il modo per rendere tutto il nostro bagaglio culturale, fruibile accettabile e giocabile da tutti”, ha aggiunto Sara Ricciardi.
Nel gioco infatti, come nella scienza, non esiste l’errore. Quando si sbaglia è possibile ricominciare da capo.
E poi ci sono gli aspetti che potremmo chiamare ‘didattica della vita’. Il gioco è capace di abbattere certi stereotipi della società o i pregiudizi che una persona potrebbe avere nei confronti di se stessa. “Quando entri in una classe, se introduci un’attività usando la parola astrofisica, possono alzarsi barriere. E tanto più l’argomento è affascinante tanto può sembrare distante. Nessun bambino invece si sente inadeguato al gioco”.
Quanto gioco c’è nella didattica innovativa?
Oggi nelle scuole italiane ha fatto ingresso la figura dell’animatore digitale. Nella didattica innovativa, però, il gioco trova ancora poco spazio perché non ci sono percorsi consolidati e tempi dedicati a questa attività.
“La via più semplice affinché il gioco e il tinkering entrino nella scuola è la presenza di un progetto o un’attività pomeridiana e di un educatore dedicato”, spiega Sara Ricciardi.
“Coinvolgere il docente è più difficile perché deve mettersi alla prova per primo per capire se il gioco funziona. Prima della spiegazione razionale e della giustificazione con gli obiettivi cognitivi, c’è il gioco. Ma tra il gioco e l’età adulta c’è una distanza che per molte persone rappresenta una difficoltà, perché gli adulti non giocano abbastanza e non conoscono il mezzo”.
Il passaggio verso una didattica più ludica potrebbe essere facilitato dalla presenza di una ludoteca all’interno della scuola. “È fondamentale l’istituzione di un gruppo di lavoro interessato, che offra la possibilità di giocare. Seguono i percorsi di progettazione con aiuti dall’esterno, che forniscano giochi adatti e un educatore dedicato”.
L’importanza del gioco nella didattica a distanza è stata dimostrata durante il lockdown tramite il gioco Chain Reaction, che è stato premiato come miglior paper durante la FabLearn Conference Italy.
Come può il gioco contribuire alla ricerca?
L’introduzione di un gioco come sistema educativo richiede un passaggio di verifica della sua efficacia. In questo ambito si esprime la scienza del gioco.
“Il fatto che il gioco sia costruttivo non dipende solo dal tema, ma anche dalla dinamica del gioco. È cruciale determinare su quali competenze agisce. La ricerca sull’efficacia si inserisce sul tipo di educazione che il gioco riesce a implementare” sostiene Stefania Varano.
“La ricerca sul gioco ha il compito di dimostrare con i dati che il gioco è più efficace di una lezione frontale in ambito educativo”, spiega Roberto Di Paolo.
Dottorando dell’IMT, sta misurando l’efficacia del progetto Blutube, avviato da Lucca Crea e GEAL nell’ambito delle iniziative per la crescita nel sociale.
Blutube è una competizione volta a insegnare il ciclo dell’acqua e a diffondere le pratiche per il risparmio di questo bene prezioso. È un gioco da tavolo che prevede anche attività di urban game. “Questo dimostra che non è la tipologia di gioco ad essere importante. Piuttosto è il messaggio che va definito minuziosamente”.
“A scopo di ricerca la cosa migliore sarebbe misurare direttamente il comportamento dei partecipanti. Se il consumo dell’acqua non fosse stimato, avremmo potuto misurare il risparmio idrico”, continua a spiegare Roberto Di Paolo. “E invece abbiamo misurato i comportamenti acquisiti dai bambini tramite le dinamiche del gioco con un questionario”.
E i risultati sono stati positivi, come dimostra l’articolo Game-based education promotes sustainable water use, che ha lo scopo di misurare l’impatto del gioco sul tema. Il gruppo di ragazzi che ha partecipato al gioco ha mostrato un uso più sostenibile dell’acqua, con un forte coinvolgimento della famiglie.
Non è facile scorporare le competenze date dal gioco dalla crescita del bambino e dall’aumento delle sue abilità, ad esempio quelle cognitive. “Di fatto, è interessante non solo la crescita dal punto di vista disciplinare, ma anche l’aumento delle competenze extra-disciplinari” risponde Stefania Varano. “Tuttavia, la capacità di interagire con altri, il rispetto degli altri e di se stessi, la conoscenza di se stessi sono aspetti assai difficili da valutare”.
Forse potranno aiutarci le tecnologie emergenti a potenziare la capacità di valutazione nella scienza del gioco. “Nella ricerca sul gioco c’è tanta analisi qualitativa, in cui è complicato definire i parametri da osservare e la valutazione da attribuire”, conclude Sara Ricciardi. “A seconda delle circostanze, ci sono atteggiamenti dei bambini che si ripetono mentre giocano. Proprio questi atteggiamenti potrebbero essere codificati e insegnati a un’intelligenza artificiale, in modo da misurarli”.
Siamo di fronte a una scienza aperta ad evoluzioni e nuove definizioni, alla ricerca di metodi e sistemi di valutazione condivisi. Nella scienza del gioco c’è spazio per creare ponti tra diverse discipline e per espandere le risorse umane.