La startup Viktor nasce dall’incontro tra un ingegnere e un medico. Guido Gabrielli, co-fondatore con Viktor Terekhov. «Abbiamo lavorato ad un’apparecchiatura per ripristinare o potenziare la comunicazione tra cervello e sistema neuromuscolare compromesso»
Nel 2008 un incidente in moto cambia la vita di Guido Gabbrielli, giovane bergamasco, da poco laureato. Dopo lo scontro, nel quale riporta una lesione midollare, trascorre lunghi mesi in vari centri di riabilitazione in Italia e all’estero: tutte strutture all’avanguardia, ma lui intuisce che manca qualcosa. Si potrebbe fare di più, pensa. Ha studiato ingegneria meccanica, ma in precedenza non si è mai occupato di questo settore. «Mi sono accorto che le terapie riabilitative, anche quando utilizzavano la tecnologia, erano poco orientate verso una vera ripresa della possibilità di movimento. Si trattava più che altro di percorsi di adattamento ad una nuova condizione. Mancava lo sguardo su una prospettiva più ampia».
Come nasce la startup Viktor
Durante questo percorso, Gabbrielli incontra il professor Viktor Terekhov, medico russo trasferitosi in Italia negli Anni 90, che fin dagli Anni 70-80, quando lavorava all’Accademia di San Pietroburgo per gli studi aerospaziali, studiava l’uso delle tecnologie avanzate per il mantenimento del sistema muscolare in spazi ridotti e in assenza di gravità. I due dialogano, si scambiano idee, individuano una comunione di intenti: vogliono trovare una soluzione. Inizia così un lungo «processo di maturazione», che nel 2015 porta alla nascita della startup Viktor, oggi PMI innovativa, di cui fa parte anche Mario Gabbrielli, zio di Guido, amministratore della società.
«Nel suo percorso professionale Terekhov aveva già individuato quel principio base, che poi insieme abbiamo coltivato: volevamo un’apparecchiatura in grado di ripristinare o potenziare, attraverso stimoli elettrici, la comunicazione tra cervello e sistema neuromuscolare compromesso». L’idea innovativa è quella di unire due mondi, quello della stimolazione elettrica funzionale e quello della terapia basata sul movimento, rendendo il paziente una parte attiva del processo riabilitativo.
L’idea vincente
«L’acronimo che abbiamo individuato per la nostra tecnologia è AFESK, ovvero stimolazione elettrica funzionale adattiva kinesiterapica. Su questa base abbiamo ideato VIK16, una workstation per la quale nel luglio 2019 abbiamo ottenuto il brevetto italiano». Il macchinario interagisce con 16 gruppi muscolari, a cui vengono inviati input elettrici, affinché ricomincino a svolgere la loro funzione: un sensore “intelligente” legge ed interpreta i successivi movimenti degli arti e la tecnologia si adatta in base alle variazioni rilevate.
«La workstation parla la fisiologia del movimento, per questo il corpo lo accetta e risponde così bene», sottolinea Gabbrielli, che spiega anche come la tecnologia di stimolazione elettrica attualmente esistente, il cui acronimo è semplicemente FES, sia applicabile solo a gruppi muscolari ristretti. «A testimonianza della bontà del nostro progetto, dopo quello italiano abbiamo ricevuto anche il brevetto dell’Unione Europea, di Israele, della Russia e, in tempi recenti, anche della Cina e del Giappone».
Numerosi sono i campi di possibile applicazione della tecnologia AFESK: recupero post ictus, paraplegie, emiplegie, tetraplegie, lesioni da trauma, ma anche perdita della capacità di movimento negli anziani e miglioramento delle performance negli sportivi. «Un recente studio in collaborazione con il CNR ha dimostrato che l’uso di questa apparecchiatura su 24 pazienti cronici ha determinato in tutti i casi un miglioramento, a volte anche un completo ritorno dell’attivazione di gruppi muscolari, come in un paziente sano».
Dal VIKTOR Physio LAB agli ospedali
Viktor ha sede a Dalmine, all’interno del Polo per l’Innovazione Tecnologica (POINT) della provincia di Bergamo: qui, oltre agli uffici, alla produzione e all’assemblaggio, c’è anche VIKTOR Physio LAB, un centro pilota privato, aperto al pubblico. «Grazie alla costante presenza di almeno due terapisti, riusciamo a seguire ogni giorno 10-15 pazienti, per un totale di oltre 500 persone dal 2019 ad oggi. Arrivano da tutta Italia, qualcuno anche dall’estero», racconta Gabbrielli. VIK16 si può trovare anche in varie strutture ospedaliere d’Italia, tra cui le Unità Spinali di Ancona e di Novara e l’Ospedale Valduce Villa Beretta di Costa Masnaga (Lecco), dedicato alla medicina riabilitativa: «Qui stiamo sperimentando anche l’interazione tra la nostra tecnologia e la robotica, come un esoscheletro tech, in modo da rendere le terapie sempre più efficaci». Per favorire una maggiore diffusione del metodo Viktor, è pronto al debutto anche VIK8, apparecchiatura portatile che può gestire 8 canali di stimolazione, anziché 16, certificata anche per uso domestico. «Vogliamo che il percorso iniziato nel centro di riabilitazione, superata la fase acuta, possa proseguire anche a domicilio con il supporto di fisioterapisti e personale medico».
Viktor e la Digital Health
Grazie ai fondi ricevuti attraverso il bando TechFast di Regione Lombardia, è invece in via di sviluppo il prototipo di una tuta indossabile, dotata di canali di stimolazione preinstallati. «Un progetto che renderà l’utilizzo del macchinario più facile e immediato, abbreviando i tempi di preparazione». Lo sguardo di Gabbrielli è sempre rivolto al futuro: l’obiettivo di lungo periodo è l’implementazione del mondo della digital health. «Stiamo predisponendo un software che scaricherà i dati rilevati in ogni sessione riabilitativa, come il tempo di lavoro, il numero di movimenti prodotti e l’intensità di corrente, per restituire una fotografia complessiva». Si potrà così realizzare un’ampia banca dati, che permetterà di elaborare programmi di terapia sempre più specifici ed efficaci, che potranno essere consultati dagli specialisti tramite cloud. «Un servizio che sarà utile per tutti i settori di applicazione della nostra tecnologia, compreso l’ambito sportivo, a cui stiamo dedicando un’attenzione sempre crescente».