Rosaria Iardino, immortalata nel 1991 nella famosa foto con l’immunologo Fernando Aiuti per dimostrare una volta per tutte che l’Aids non si trasmetteva semplicemente con un bacio, racconta cosa è cambiato in questi 30 anni
La ragazza del bacio. Così è stata definita e probabilmente sarà ricordata Rosaria Iardino, giornalista ed esperta di diritti civili e politiche sociosanitarie, da sempre simbolo della lotta contro l’Hiv. Lo ricorda lei stessa con un pizzico di orgoglio su Twitter, il 1 dicembre, giorno della giornata mondiale contro l’Aids. Il motivo il famoso bacio – immortalato nel 1991 in una foto che ha fatto la storia – con l’immunologo Fernando Aiuti. Fu un gesto eclatante che ruppe gli schemi, per dimostrare una volta per tutte che l’Aids non si trasmetteva semplicemente con un bacio. E funzionò, anche se ancora oggi secondo un sondaggio condotto online da The Harris Poll in diversi Paesi del Mondo, quasi un terzo delle persone intervistate creda ancora, erroneamente, che l’infezione si possa trasmettere con il bacio.
Il vuoto nella comunicazione
Allora come oggi quella foto fa ancora parlare e sensibilizza sul tema più di tante campagne di comunicazione costose. E a dire il vero inesistenti al momento, come ricorda la stessa Iardino, oggi presidente della Fondazione The Bridge, di Donne in rete e fondatrice di Nps Italia onlus, il primo network interamente formato da persone Hiv+, che ha come obiettivo l’informazione e la prevenzione in ambito di malattie sessualmente trasmesse. “C’è ancora un grande vuoto nella comunicazione istituzionale” commenta Iardino a Startupitalia. “Il Governo ha abdicato al suo ruolo di informare i giovani (e meno giovani), che l’Hiv esiste ancora e che basta una protezione per evitare di contrarla, così come per le altre malattie sessualmente trasmissibili.
La fascia più a rischio
Proprio tra i giovani e in particolare nella fascia tra i 25 e 29 anni si registra da qualche anno la maggiore incidenza (cioè i nuovi casi) di infezione da Hiv, per via della minore percezione del rischio. “C’è una bassa percezione della circolazione dell’Hiv ritenuta ancora un problema legato agli anni ’90 o ad alcuni sottogruppi di popolazione” aveva commentato su Rai Radio1 Barbara Suligoi, direttore Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità, ma non è così. L’Hiv
circola ed è legato a comportamenti sessuali a rischio, “ma la colpa non è dei più giovani se sono i più colpiti”, precisa Iardino: “Sono tornati alla generazione pre- Hiv la cui unica preoccupazione era evitare gravidanze indesiderate – continua – e la responsabilità civile di informare i giovani per evitare di contrarre il virus è del Governo”.
Le pandemie si fermano curando tutti
Nel frattempo, da quella famosa foto del 1991, la scienza ha fatto passi da gigante – come si è visto per poche altre malattie – ed è riuscita a trasformare una malattia che non lasciava scampo a una con cui si può convivere anche tutta la vita a patto di assumere ogni giorno la terapia. “È stato fatto qualcosa si eccezionale in questi anni per fermare l’Hiv, ma contro l’Aids come contro il Covid-19 oggi, stiamo commettendo lo stesso errore, cioè quello di lasciare indietro i Paesi più poveri” sottolinea Iardino. Per fare un esempio, una recente ricerca internazionale coordinata dall’Università di Cincinnati, pubblicata su PLOS Global Public Health ha scoperto che il 28% dei pazienti con Hiv adulti che vivono in Africa orientale e meridionale e il 42% dei sieropositivi in Africa occidentale e centrale non ricevono costantemente la terapia antiretrovirale a causa della carenza di risorse sanitarie ma anche della distanza che li separa dai centri di cura. Niente di più sbagliato perché “le pandemie si fermano curando tutti” sottolinea Iardino.
Undetectable = untransmittable
Informazione e terapie innovative sono i capisaldi della lotta contro l’Aids, ma il vero Asso nella manica è la diagnosi precoce, perché permette di garantire cure tempestive e più efficaci e una vita normale per chi è Hiv positivo e dall’altra di interrompere la circolazione del virus, perché le evidenze scientifiche confermano che chi assume la terapia correttamente non trasmette più l’infezione. È il caposaldo anche della campagna Unaids “U=U, Undetectable = untransmittable”, non rilevabile non trasmissibile, perché quando la carica virale è bassa grazie alle terapie il virus non si trasmette.
L’impatto del Covid-19
E poi è arrivato il Covid-19 che come per molte altre malattie non ha di certo facilitato le cose, anzi. A causa della pandemia molte prestazioni sanitarie sono saltate o sono state riprogrammate e le diagnosi ritardate. Con la conseguenza che dopo anni che non si vedevano sono ricomparse persone in Aids conclamato. “Non tutte sono sopravviste – precisa Iardino – perché una volta che contrai la malattia e che il sistema immunitario è compromesso i farmaci sono importanti ma non sufficienti”. D’altro lato la corsa al vaccino ha permesso di fare impulso a una nuova piattaforma di vaccini – quella a mRna – ora in studio anche per l’Hiv, ma Iardino invita alla prudenza, “perché Sars-Cov-2 e Hiv sono due virus differenti” e guardando gli ultimi studi scientifici realisticamente ammette che “la strada è lunga, seppure non impossibile”.
Abbattere lo stigma
C’è una cosa infine che è cambiata seppur non quanto si sarebbe voluto, ed è lo sigma che la malattia ancora si porta dietro. Dovuta in parte alla stessa comunità Hiv+ che tende a chiudersi per proteggersi. “Una grande azione sarebbe un ‘coming out’ collettivo di tutte le persone con Hiv, risolverebbe tantissimo il problema” conclude Iardino che insiste su quanto sia importante semplificare. A iniziare dal test per la diagnosi precoce, che richiede ancora un consenso informato.
Facilitare per far emergere quel piccolo sommerso ancora non noto di persone Hiv+, metterle in trattamento e rendere loro in grado di non trasmettere più il virus. È allora che le cose cambieranno ancora.