La scoperta della Columbia University promette di aprire la strada all’internet ultraveloce. Intanto in Europa è partito il progetto Flagship Graphene. Obiettivo: investire un miliardo di euro per trasferire la tecnologia dai centri di ricerca all’industria.
La lampadina più piccola del mondo è fatta di grafene. Ha lo spessore di un atomo ed un futuro “radioso”. Ha le caratteristiche ideali infatti per illuminare i prossimi display – super sottili, flessibili e trasparenti – ed aprire la strada alle tecnologie ottiche del futuro. Lo studio che annuncia la scoperta, realizzata da un gruppo di ricerca della Columbia University, è stato recentemente pubblicato su Nature Nanotechnology. Fino ad oggi, nella realizzazione di una fonte di luce da implementare nei chip di silicio, i materiali utilizzati non avevano offerto risultati apprezzabili. Grazie alle proprietà di leggerezza e flessibilità del grafene, ed alla sua capacità di resistere ad altissime temperature, è stato possibile condurre energia senza fondere gli elettrodi metallici. Una scoperta potenzialmente rivoluzionaria.
Un chip a base di grafene per i display del futuro
Come ci conferma Vittorio Pellegrini, Direttore dei Graphene Labs dell’Istituto Italiano di Tecnologia, “il grafene è un velo sottilissmo di materia ed ha delle proprietà stupefacenti. Conduce l’elettricità meglio del rame, conduce calore, è trasparente, flessibile e meccanicamente robusto. E soprattutto, ha la superficie per grammo più elevata tra i materiali conosciuti: 2600 metri quadrati per grammo”. Una condizione essenziale per poterlo utilizzare in una grande varietà di processi energetici.
Per realizzare la nanolampadina è stato necessario attaccare filamenti di grafene ad elettrodi metallici, all’interno di un chip di silicio. I fogli monoatomici di grafene sono stati riscaldati fino a 2500 gradi, circa la metà della temperatura del Sole. A quella temperatura, la luce emessa è stata visibile a occhio nudo, nonostante le dimensioni infinitesimali dell’oggetto. Tecnicamente infatti, i fogli di grafene sono staccati dal substrato di silicio sul quale è stato depositato il grafene e risultano sospesi fra i due elettrodi. Questo permette di concentrare il calore nella parte centrale del foglio. Così facendo, la temperatura diventa talmente elevata in quel punto tanto da consentire al materiale di emettere luce. “Questa nuova fonte di luce può aprire la strada a display flessibili e trasparenti e macchine per le comunicazioni ottiche basate su chip al grafene” spiega James Hone, uno dei leader della ricerca alla Columbia.
Trasferire informazioni alla velocità della luce
La strada per le tecnologie ottiche del futuro è tracciata. All’interno di circuiti ottici basati su tante nanolampadine di grafene, le informazioni potranno viaggiare in modo più efficace e veloce grazie, non più alla corrente elettrica, ma alla luce. Trasmettere informazioni con la luce è la chiave della futura internet ultraveloce.
Il team di lavoro è attualmente impegnato nella creazione di dispositivi di comunicazione, ma non solo: “Abbiamo appena incominciato a sognare gli altri possibili impieghi di queste strutture”, spiega lo stesso Hone. “Ad esempio la realizzazione di micro piani a induzione che possano essere riscaldati a migliaia di gradi in frazioni di secondo, per studiare le reazioni chimiche ad alta temperature”.
Il grafene entro 10 anni sul mercato europeo
In attesa che il sistema venga perfezionato, quel che è certo è che il grafene sarà sicuro protagonista dei prossimi anni, anche in Europa. È appena partito infatti il progetto Flagship Graphene. Obiettivo: trasferire la tecnologia dai centri di ricerca all’industria. “Sostanzialmente si tratta di un cambio di paradigma nel campo dei finanziamenti della ricerca a livello europeo”, racconta Pellegrini. “Non più una miriade di piccoli finanziamenti dedicati a tanti progetti. Con la Flagship Graphene e anche con Human Brain si è deciso di avere un approccio diverso: accentrare una quantità di risorse notevoli (un miliardo di euro, n.d.r.) su un unico argomento, per un tempo lungo”.
La flagship coinvolge complessivamente 142 gruppi di ricerca, con il nostro paese in prima fila. Sono 23 le realtà italiane coinvolte, rappresentati in Europa dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’IIT. “Noi del grafene ormai sappiamo tutto”, conclude Pellegrini. “Sappiamo come funziona e sappiamo anche produrlo molto bene. Adesso dobbiamo cercare di sviluppare dei processi ottimizzati per l’industria e la manifattura”. Entro 10 anni è prevista la produzione industriale e l’immissione sul mercato dei primi innovativi prodotti “potenziati” dall’uso del grafene.