La psicologa Guendalina Graffigna analizza per Startupitalia la campagna vaccinale in corso: “Offrire una birra oppure dei soldi a chi si vaccina non è sufficiente. Ecco come parlare agli scettici e agli indecisi”
La campagna vaccinale avanza: l’81% degli italiani è immunizzato, grazie anche all’accelerazione impressa dalla decisione di rendere obbligatorio il green pass. Ma ci sono ancora molti indecisi sul vaccino contro il Covid-19, che si potrebbero convincere. Come? “Serve una strategia di comunicazione ampia, che ne modifichi l’atteggiamento. Dobbiamo sentirci tutti parte di una comunità, che ha condiviso una scelta: siamo coautori di un processo, non solo utenti finali”. Questa la visione di Guendalina Graffigna, professoressa di psicologia dei consumi e della salute all’Università Cattolica, autrice del volume “Esitanti”, che commenta con Startupitalia la campagna vaccinale in corso. Il centro di ricerca EngageMinds Lab, che lei dirige, monitora costantemente l’evoluzione della pandemia a partire dal febbraio 2020.
Professoressa, i no vax c’erano anche prima della pandemia: che cosa è cambiato?
“L’esitanza vaccinale esiste da sempre, tanto che nel 2019 l’Oms l’ha messa tra le 10 sfide mondiali della sanità pubblica. La differenza è che il Covid ha messo il problema sotto gli occhi di tutti, perché ora la questione interessa tutta la popolazione, mentre prima riguardava soltanto delle fasce specifiche”.
Gli ultimi dati sull’andamento dell’esitanza vaccinale che cosa dicono?
“Di fatto ad oggi si mantiene (quasi invariato) il numero dei convinti no-vax: oggi sono il 7% ed erano l’8% a maggio 2020, prima che il vaccino esistesse. A questo si aggiunge una fetta sempre meno consistente di dubbiosi: oggi sono il 12%, in confronto al 33% di maggio 2020. Questi ultimi oscillano tra la rabbia e la preoccupazione: sono loro quelli da agganciare, ma non con una comunicazione razionale, perché di dati ne vengono diffusi anche troppi. Bisogna toccare le leve emotive, facendo percepire che il vaccino non è una perdita, ma è un vantaggio. Chi è contro, invece, è contro: di solito sono persone che hanno idee molto radicate, basate magari su teorie complottiste, e difficilmente cambieranno idea”.
Che cosa è cambiato in questi mesi?
“Intanto c’è stata una buona risposta da parte dei giovani, che si sono rivelati meno complottisti e meno diffidenti verso i vaccini, ma anche più capaci di discernere le informazioni sul web. Il senso civico tra loro sta aumentando: vedono la scelta di vaccinarsi come un’azione di responsabilità sociale verso la comunità e verso il Paese. Mi riferisco alla fascia d’età che va dai 16 ai 25 anni, che sta facendo quasi da traino alle fasce intermedie, in particolare a quella dei 50-60enni, in cui si collocano i genitori di questi giovani, più spaventati e scettici dei loro figli”.
Quanto il green pass obbligatorio per i lavoratori ha contribuito a far diminuire gli indecisi?
“Indubbiamente, se guardiamo le cose dal punto di vista concreto della modifica dei comportamenti di adesione, l’obbligatorietà del green pass per il lavoratori ha avuto un effetto certamente positivo. E’ un ulteriore movente per tutte le età. Però non porta un vero cambiamento di atteggiamento: si raggiunge sì l’obiettivo comportamentale, ed è come mettere il piede nella porta, però manca qualcosa”.
Come giudica l’idea di dare un contributo economico o offrire birre gratis a chi si vaccina?
“Il problema è che misure come queste hanno effetti nel breve periodo, ma non fanno cambiare approccio. Vale lo stesso discorso anche per il green pass: serve una strategia più ampia”.
Che cosa manca nella comunicazione della campagna vaccinale?
“La persone dovrebbero essere valorizzate e convinte nel merito della questione. Il green pass si potrebbe usare come “touch point comunicativo”, se vogliamo utilizzare un termine specifico della comunicazione. Perché non si manda per esempio un semplice messaggio di ringraziamento ai cittadini che si vaccinano? Perché non valorizzare il fatto che vaccinarsi è come entrare in un club? Significa essere parte di un gruppo di persone che hanno fatto una scelta con responsabilità civica, oltre che per benessere personale. Non quindi un mero calcolo di costi e benefici dal punto di vista del singolo, ma dal punto di vista della collettività. Bisogna riequilibrare la prospettiva”.
Qualche altro suggerimento per convincere gli indecisi sul vaccino?
“La comunicazione informativa non basta, ma bisogna fare “marketing sociale”. Oltre ai ringraziamenti, per esempio, a chi ha il green pass potrebbero essere date ulteriori informazione. Penso per esempio alle regole di comportamento, oggi ancora più importanti perché stiamo abbassando la guardia. Oppure si potrebbe entrare in un’ottica di gamification, scientifica ma anche ingaggiante: perché non ideare un gioco basato sul check delle informazioni e delle credenze su Covid e vaccino? Serve una comunicazione capace di coinvolgere e creare fiducia: siamo tutti parte di una squadra che sta giocando una partita. Ricordate i canti sul terrazzo che abbiamo visto nel marzo 2020? Sono durati dieci giorni. Bisogna recuperare quello spirito”.
Foto in alto: Gustavo Fring da Pexels