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Dal 2002 ad oggi 100 giovani scienziate, grazie alla borsa di studio, hanno potuto portare avanti i loro progetti di ricerca nel nostro Paese
Dalla medicina personalizzata agli effetti dei cambiamenti climatici, fino alle tecnologie quantistiche. Il futuro entra con prepotenza nella diciannovesima edizione del premio “L’Oréal Italia per le Donne e la Scienza”, promosso in collaborazione con la Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, grazie alle ricerche di frontiera delle 6 nuove vincitrici, proclamate questa mattina nel corso dell’open talk di premiazione in diretta su StartupItalia, moderato da Alma Grandin, giornalista RAI. Selezionate tra oltre 320 candidate da una commissione composta da un panel di illustri professori universitari ed esperti scientifici italiani, alle 6 giovani ricercatrici sono state assegnate altrettante borse di studio, ognuna del valore di 20mila euro, che portano a 100 le scienziate premiate fino ad oggi.
“Quest’anno abbiamo tutti avuto una chiara consapevolezza di quanto sia necessaria la ricerca scientifica. È la scienza, infatti, che ci ha fornito la risposta per affrontare una pandemia globale, che aveva congelato le nostre vite. È per questo che quest’anno siamo particolarmente orgogliosi di premiare queste sei giovani ricercatrici, perché possano portare avanti i loro progetti di ricerca in Italia e perché diventino dei role model, degli esempi da seguire e da emulare, per le loro colleghe e per tutte le giovani donne e ragazze”, commenta Francois-Xavier Fenart, Presidente e Amministratore delegato di L’Oréal Italia. “Fino a oggi abbiamo assegnato 100 borse di studio in Italia – continua Fenart – un traguardo importante che ci spinge a continuare a impegnarci in questo percorso iniziato diciannove anni fa, convinti che le donne possano e debbano contribuire al progresso scientifico e che siano determinanti per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile su cui costruire il nostro futuro”.
Le premiate e i progetti vincitori
La giuria, presieduta da Lucia Votano, Dirigente di Ricerca emerita dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dopo un’attenta valutazione ha selezionato le seguenti ricercatrici, che si sono distinte per i loro progetti nei campi delle scienze della vita e della materia: Livia Archibugi, per il progetto “Tumore del pancreas: a caccia di meccanismi molecolari che predicano la risposta alla chemioterapia; Elisa Pellegrini, grazie al progetto “Moria dei canneti e cambiamento climatico: dov’è il collegamento?”; Letizia De Chiara, per il progetto “Cellule poliploidi renali: un nuovo strumento per la prevenzione della malattia renale cronica”; Ornella Juliana Piccinni, grazie al progetto “Via con l’onda: rilevamento di oggetti estremi come resti di eventi di onde gravitazionali nei dati degli interferometri LIGO-Virgo-KAGRA”; Natalia Bruno, per il progetto “AQTRESS – Atomic Quantum Technologies for Reliable Engineering of Solid State devices Tecnologie quantistiche atomiche per la progettazione di dispositivi a stato solido”; e Lorena Baranda Pellejero, grazie al progetto “Sintesi di molecole funzionali mediata da biomarcatori clinicamente rilevanti attraverso l’uso di sistemi basati su DNA sintetico”.
“I criteri di selezione rispettano i cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo scientifico, non tanto nella metodologia, ma nelle modalità in cui la ricerca scientifica si esplica e soprattutto sul fatto che è aumentato il suo impatto sulla società”, ha spiegato Votano. “La giuria tiene ferma la barra nel privilegiare possibilmente la ricerca di base, nella convinzione profonda che sia la prima e vera origine dell’innovazione. L’altra caratteristica è la spiccata internazionalizzazione dell’attività scientifica ai giorni nostri. Anche per questo valutiamo con molto favore percorsi di studio e ricerca svolti all’estero”. La Professoressa Votano, inoltre, ci tiene a sottolineare un terzo aspetto, non meno importante, che è legato al ruolo accresciuto della comunicazione della scienza: “Noi valutiamo anche le capacità delle nostre candidate di saper presentare in maniera chiara e incisiva il proprio programma perché questo poi prelude a una successiva capacità di disseminazione dell’informazione scientifica sul proprio lavoro a un grande pubblico”. Per la Presidente della giuria, infatti, la comunicazione della scienza ha un ruolo fondamentale anche per la democrazia di un Paese.
Il premio
Nato nel 1998 su iniziativa di L’Oréal e Unesco, “For Women in Science” è stato il primo premio internazionale dedicato alle donne che operano in ambito scientifico. L’iniziativa oggi si inserisce nel contesto di un vasto programma incentrato sulla promozione della vocazione scientifica femminile a livello internazionale e sul riconoscimento del lavoro delle ricercatrici di tutto il mondo.
Fin dalla sua nascita, il programma “For Women in Science” ha scelto di premiare con un contributo di 100mila dollari cinque candidate, una per ciascuno dei cinque continenti. Un impegno su scala globale che è stato rafforzato dalla creazione di borse di studio: ogni anno, infatti, vengono assegnate 15 borse internazionali e numerose borse di studio nazionali a giovani ricercatrici di talento.
Dal 1998 a oggi sono state sostenute nel loro percorso di carriera ben 3.600 ricercatrici in 117 Paesi. Cinque di queste scienziate, dopo aver vinto il premio L’Oréal-UNESCO, sono state insignite del premio Nobel: tra loro Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, vincitrici del Nobel per la Chimica nel 2020.
In Italia il programma “L’Oréal Italia Per le Donne e la Scienza” è giunto alla sua diciannovesima edizione, che dal 2002 a oggi ha assegnato 100 borse di studio.
Lo scenario e il dibattito
La diretta su StartupItalia ha costituito anche l’occasione per condividere e approfondire dati, esperienze e proposte sull’uguaglianza di genere nella ricerca scientifica, ospitando gli interventi di esperti e istituzioni.
Secondo l’ufficio statistico dell’UNESCO, complessivamente le donne rappresentano ancora una minoranza nell’ambito della ricerca scientifica, costituendo circa un terzo dei ricercatori a livello mondiale. Se poi andiamo a guardare i riconoscimenti scientifici al talento femminile, il soffitto di cristallo appare ancora piuttosto spesso. Tra il 1901 e il 2020, ad esempio, meno del 4% dei premi Nobel è stato assegnato a donne: considerando solo quelli per la Fisica, la Chimica, la Fisiologia o la Medicina, ad aggiudicarsi il Nobel sono state solo 23 scienziate.
“I progressi scientifici degli ultimi decenni sono stati veloci e sconvolgenti, nonostante questo le donne faticano ancora a emergere nel campo della ricerca, trattandosi di un ambito percepito ancora come prettamente maschile, in cui per le donne è più difficile farsi spazio o raggiungere posizioni più elevate”, dichiara Enrico Vicenti, Segretario Generale della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO. “Si tratta di una tematica molto cara all’UNESCO, che dedica molte iniziative e programmi all’educazione, all’uguaglianza di genere e al rafforzamento della presenza femminile nel settore ‘scienze, tecnologia, ingegneria e matematica’. Tra queste iniziative, il Premio UNESCO-L’Oréal ‘Per le Donne e la Scienza’ rappresenta un’eccellenza della quale l’Organizzazione è particolarmente fiera”.
Secondo quanto riportato da Maria Cristina Messa, Ministra dell’Università e della Ricerca, “alcuni dati ci mostrano che non siamo molto migliorati negli ultimi anni: le donne nell’università rappresentano il 55% degli iscritti, e nelle lauree STEM, caratterizzate da una maggiore crescita occupazionale, si fermano al 37%”. Non solo: il titolo che le ragazze conquistano nelle STEM viene raggiunto, in genere, in tempi più precoci rispetto ai ragazzi, e con voti più elevati, ma il riconoscimento nel mondo del lavoro è più tardivo e quasi sempre è un livello inferiore dal punto di vista salariale. “Quindi, a un titolo raggiunto prima e con voti migliori dalle donne – continua la Ministra – segue poi un riconoscimento salariale inferiore e a volte neanche un riconoscimento. Questi dati, insieme alla governance degli enti di ricerca dell’università – nonostante un’inversione di tendenza dovuta all’emergere di donne rettrici e alla presenza di una donna alla presidenza del CNR – devono però ricordarci di tenere in forte considerazione questo problema di accesso alla carriera scientifica delle donne”.
Visto che le regole del gioco possono definire all’inizio l’esito di una gara, “dobbiamo scegliere delle regole che permettano alle giovani ricercatrici, come le ragazze premiate in questa occasione, di poter diventare leader nel mondo della ricerca”, sottolinea Elena Bonetti, Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia. “Se vogliamo davvero promuovere un futuro migliore per tutti, dobbiamo avere il coraggio di dire che servono le competenze di tutti, nella diversità di ciascuna di queste competenze. Dico questo perché per troppo tempo la nostra cultura ha diviso per attitudini e competenze l’esperienza del sapere tra le donne e gli uomini, tra i territori, tra le generazioni. Ecco, è il momento di ricomporre alleanze positive e nuove nell’ambito sociale”, sostiene Bonetti. “Senza lo sguardo femminile nella scienza, quel mondo mancherà di un pezzo e quindi non raggiungerà gli obiettivi ambiziosi che invece noi abbiamo per il futuro”.
Secondo Francesca Santoro, Head of the Tissue Electronics Lab IIT, “quello di cui abbiamo bisogno è che le nostre istituzioni di ricerca riescano a creare dei programmi di supporto per le donne che vogliono emergere, non solo da un punto di vista di formazione accademica, ma anche di formazione di leadership”. Per Santoro, inoltre, vista anche la sua esperienza di cervello di ritorno, è necessario un ulteriore impegno istituzionale nel riuscire a riportare in Italia le ricercatrici italiane che lavorano all’estero, in modo da creare dei modelli di riferimento all’interno del nostro Paese. E proprio a riguardo di role model, Linda Raimondo – giovanissima studentessa di fisica all’Università di Torino, nonché divulgatrice scientifica in TV e sui social – confessa che il suo primo riferimento scientifico è stato Margherita Hack, seguito da Samantha Cristoforetti, la prima astronauta italiana, che ha contributo ad alimentare il sogno di diventare astronauta, oltreché scienziata. Ma Raimondo si è fatta soprattutto portatrice di un messaggio positivo, grazie anche alla sua intensa attività di divulgazione: “Da ragazza ventenne che parla con i più piccoli, ho notato che la differenza di genere non si sente più di tanto tra le nuove generazioni, e questo mi dà tanta speranza”. Di tutt’altro tenore, osservando i dati, è quello che emerge dall’intervento di Enrico Bucci, Adjunct Professor Sbarro Institute – Temple University Department of Biology Philadelphia: in tutti i settori, le donne tendono ad abbandonare la propria carriera scientifica con una frequenza in media del 20% superiore. “Quindi, non è l’ingresso il problema, né la preparazione o la bravura, ma è l’abbandono della carriera molto più precocemente in media rispetto agli uomini, e questo è stato misurato con rigore”, avverte Bucci. Perché per le donne c’è questo tasso di attrito maggiore lungo la carriera scientifica? “Il tasso di abbandono della carriera, paese per paese, correla con il trattamento lavorativo medio delle donne in quel paese. Cioè, laddove le donne – in tutti i settori lavorativi – sono pagate e trattate peggio, anche nel settore scientifico si ha un tasso di abbandono maggiore. A questo punto, la ricerca degli enti deputati, ma anche la politica devono andare a investigare le ragioni non per la mancata iscrizione, ma per il tasso di abbandono e per la sua correlazione con stipendio e trattamento medio delle persone”.