Quali sono le innovazioni di AI applicabili alla radiologia e quali vantaggi potrebbe portare? L’intervista a Luca Maria Sconfienza, Direttore della Radiologia del Galeazzi di Milano e Ordinario di Radiologia all’Università Statale del capoluogo lombardo
L’intelligenza artificiale è destinata ad avere numerose applicazioni in ambito medico e la radiologia non fa eccezione. Anzi: forse si presta più di altre branche a questo genere di innovazione. “Si parla di intelligenza artificiale dagli anni ‘50 – ricorda Luca Maria Sconfienza, Direttore della Radiologia del Galeazzi di Milano e Ordinario di Radiologia all’Università Statale meneghina – Oggi, tuttavia, le applicazioni si stanno moltiplicando grazie all’avanzamento tecnologico degli ultimi anni”.
La potenza di calcolo dei nostri computer era impensabile una decina di anni fa: “L’intelligenza artificiale permette ai computer di mimare le operazioni cognitive che sono proprie del cervello umano, fondamentalmente quelle di apprendimento, e usa questa conoscenza per riconoscere qualcosa”, esemplifica Sconfienza. Rispetto all’intelligenza umana, quella artificiale riesce a svolgere molte più operazioni matematiche in un tempo molto più breve, andando poi a riconoscere dei dettagli che all’occhio umano sono invisibili o quasi.
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Radiologia e Intelligenza Artificiale: cosa cambia
“L’aspetto prezioso di tutto questo è che consente di effettuare analisi molto più approfondite: perché di fatto l’Ai è un’applicazione che consente di andare a trovare, all’interno di migliaia di dati che spesso sono disordinati un filone comune e quindi una caratteristica che unisce una serie di pazienti, arrivando a una diagnosi più corretta o più velocemente rispetto a un medico”, afferma l’esperto.
Tra gli aspetti più interessanti, il potenziale previsionale: “In base ai dati estratti da una radiografia, per esempio, un software può essere in grado di capire se quel tumore risponderà in maniera ottimale a un determinato farmaco – spiega l’esperto – Questo ci porta all’interno della medicina personalizzata, che in futuro interesserà una fetta sempre più ampia di pazienti e permetterà di somministrare loro la molecola più efficace per quello specifico problema”.
Nel 2016 fece scalpore un’intervista rilasciata da Geoffrey Hinton, un informatico canadese esperto nell’apprendimento automatico, che disse che negli anni a venire i radiologi specializzati sarebbero stati sostituiti da robot. “Ovviamente questa profezia non si è avverata, anche perché l’intelligenza artificiale, accanto a molti vantaggi, ha anche numerosi limiti”, ricorda Sconfienza.
I limiti
Attualmente un algoritmo è in grado di riconoscere una cosa alla volta, manca di visione d’insieme: “Abbiamo software in grado di capire se c’è una frattura al femore, ma se sottoponiamo alla macchina la lettura di una radiografia della colonna, il software non sarà in grado di capire se c’è un danno all’esterno della colonna stessa” spiega l’esperto. Oppure, un software programmato per studiare la presenza di un nodulo polmonare, poi, non saprà individuare una lesione delle ossa attorno al polmone e non dirà nulla sui tessuti molli circostanti.
“Infine, l’aspetto più importante: il medico non cura le immagini, ma il paziente. Questo rapporto non può essere sostituito, così come la valutazione globale della persona che abbiamo di fronte: dalle patologie alla sua storia clinica, passando per le motivazioni che l’hanno spinto a effettuare l’accertamento”.
La strada migliore per il futuro è quindi un affiancamento tra intelligenza artificiale e esperienza umana: “Il software non sarà mai stanco dopo una notte di guardia o dopo aver analizzato 150 radiografie. È questo uno degli aspetti da sfruttare, liberando così tempo al medico che potrà dedicarsi al completamento dell’indagine diagnostica e agli aspetti più empatici della professione”.
Al momento la maggior parte di queste applicazioni sono limitate alla ricerca scientifica e ancora poco trasferite alla pratica clinica. “Affinché entrino a pieno regime, serve ancora un approfondimento dal punto di vista medico e, in modo analogo a quanto avviene per i dispositivi medici, è necessario un processo di certificazione molto accurato”. Un algoritmo di intelligenza artificiale, per essere messo in commercio, viene trattato con la stessa cura di una protesi di ginocchio o di anca, per esempio.
Il futuro dell’AI
Al momento in pratica clinica sono utilizzate alcune applicazioni che facilitano il lavoro nel quotidiano, dal punto di vista tecnico. “Sulle macchine radiologiche di nuova generazione per le Tac e le risonanze magnetiche abbiamo per esempio sistemi che, tramite l’intelligenza artificiale, posizionano il paziente sul lettino in maniera automatica in base all’esame da eseguire”, racconta il radiologo. In questo modo il vantaggio è doppio: l’operatore non deve attardarsi a posizionare il paziente, concentrandosi così sull’analisi e si riduce la percentuale di errore: il posizionamento del paziente né infatti uno degli aspetti su cui si sbaglia di più.
Un’altra applicazione utilizzata già oggi è quella che permette di dosare la radiazione in base alla composizione corporea del paziente: “Anche in questo caso questo si traduce in un risparmio di tempo e in una netta ottimizzazione delle radiazioni somministrate”, continua Sconfienza, che immagina un’ampia diffusione di sistemi analoghi nel prossimo futuro: “In fondo si tratta di software che, per funzionare, non hanno bisogno di infrastrutture particolari – ragiona – Penso che, più che dotare le singole aziende sanitarie di queste applicazioni, esisteranno servizi che analizzeranno a distanza le immagini caricate su piattaforme cloud. In questo modo la capacità di calcolo sarà in capo alle aziende esternalizzate, mentre i vari centri potranno fruirne in modo semplice e a costi contenuti”.
Foto in alto: MART PRODUCTION da Pexels