Durante l’emergenza Covid-19 Cristian Fracassi, startupper e innovatore sociale, aveva messo a punto una maschera utilizzata nelle terapie intensive. Oggi il centro di ricerca bresciano Isinnova intende aiutare chi è rimasto ferito gravemente nella guerra in Ucraina: “Ma sono tante zone di conflitto in cui il nostro prototipo potrebbe essere utile”
Letizia: si chiama così la nuova protesi ultra economica ideata da Cristian Fracassi, fondatore e ceo del centro di ricerca bresciano Isinnova, nonché inventore, durante la pandemia, della maschera C-PAP di emergenza per l’erogazione di ossigeno, realizzata a partire da una normale maschera da snorkeling. Tutto nasce da una richiesta speciale, ricevuta circa un mese e mezzo fa da InterMed Onlus, un’organizzazione specializzata in attività di cooperazione socio sanitaria, attiva in Ucraina: “Mi hanno chiesto aiuto nello sviluppo di protesi tibiali e transfemorali a basso costo. Ad oggi sono quasi 3mila i civili, tra cui molti bambini, che a causa del conflitto con la Russia sono rimasti vittime di esplosioni ed hanno perso un arto indispensabile, come la gamba. Il problema è che le protesi solitamente hanno prezzi che vanno dai 5mila agli 80mila euro, cifre davvero insostenibili in questa particolare situazione”, racconta a StartupItalia Fracassi. “Amo le sfide, per cui ci siamo subito messi all’opera per studiare un arto artificiale super economico, dandoci come obiettivo quello di non superare un budget complessivo di 500 euro”.
“Amo le sfide, per cui ci siamo subito messi all’opera per studiare un arto artificiale super economico, dandoci come obiettivo quello di non superare un budget complessivo di 500 euro”
Una missione impossibile, all’apparenza, considerati i prezzi di mercato. Ma il team di Isinnova riesce a individuare un giusto mix di materiali, che permette di contenere le spese. “Innanzitutto, prima di iniziare, abbiamo contattato un team di ortopedici bresciani, che ci ha dato le necessarie nozioni di ortopedia, non essendo noi specialisti. Poi abbiamo pensato di realizzare la componente estetica attraverso la stampa 3D, da abbinare a tubolari d’alluminio per la parte rigida di ossatura. Il piede è fatto di poliuretano, materiale altamente resistente all’abrasione e al taglio, perché questo tipo di ausili di consumano molto velocemente. Infine, utilizziamo anche componenti già disponibili sul mercato, in modo da poterli acquistare a prezzi accessibili, per esempio le fasciature che vengono usate come tutori da chi si è sottoposto ad un intervento al ginocchio”.
Dalla progettazione ai test
Terminata la progettazione, inizia la fondamentale fase di test. “All’inizio è stato difficile individuare una persona che ci potesse aiutare, così ho deciso di sperimentare io stesso i prototipi, legandomi un piede dietro la coscia e provando a simulare nel modo più realistico possibile i movimenti di una persona che ha subito un’amputazione”. Le prime tre prove si rivelano fallimentari, poi un contributo decisivo arriva da Letizia, trentenne bresciana, che ha perso una gamba quando era bambina. “Ha provato la nostra protesi e ci ha dato qualche consiglio. Al quarto tentativo ho chiamato InterMed Onlus e ho annunciato: ce l’abbiamo fatta”.
La sfida non è però ancora vinta, perché bisogna cercare i fondi sufficienti a sostenere questa iniziativa, che non ha scopo di lucro, ma che ha l’obiettivo di tornare a far camminare le persone. “Al momento abbiamo trovato i primi finanziatori, tra cui una banca, una scuola e alcuni privati”, ma il cammino è solo all’inizio, anche perché lo sguardo di Cristian Fracassi guarda già lontano. “Oltre all’Ucraina, ci sono tante zone di conflitto nel mondo, in cui il nostro prototipo potrebbe essere utile”.
La richiesta di sostegno si rivolge anche alle aziende disposte a collaborare concretamente per la realizzazione delle protesi: “Sul sito di Isinnova, per esempio, pubblicheremo le informazioni necessarie per la stampa 3D delle parti estetiche: se qualcuno volesse partecipare, ci agevolerebbe sicuramente”.
Obiettivo: inviare le prime protesi a inizio dicembre
L’obiettivo è quello di inviare le prime 50 protesi entro l’inizio di dicembre all’ospedale di Vinnitsa, città dell’Ucraina centrale, dove potranno essere subito utilizzate da chi ne ha bisogno. “Dato che non è possibile sapere in anticipo chi indosserà l’arto artificiale, e quindi non lo si può costruire su misura, lo abbiamo concepito in modo che possa essere facilmente adattabile da parte dei medici in base ai destinatari. Speriamo di ricevere presto i primi feedback, che ci saranno utili per perfezionare sempre di più il modello”.
“Dato che non è possibile sapere in anticipo chi indosserà l’arto artificiale, lo abbiamo concepito in modo che possa essere facilmente adattabile”
La squadra di Isinnova è pronta a produrre circa 20 protesi al giorno: “Per la stampa 3D ci vogliono ci vogliono 11 ore, ma abbiamo varie stampanti, che possono lavorare anche tutta la notte. Per il montaggio, invece, è necessario il lavoro di mezza giornata da parte di una persona”.
Infine, perché la scelta del nome Letizia? “Ci sono tre motivi”, conclude Fracassi. “Innanzitutto perché è un parola dal significato benaugurante, quindi speriamo sia portatrice di felicità e buone notizie. Poi è un omaggio alla ragazza che ci ha aiutato nella messa a punto del prototipo e, infine, è un omaggio a mia madre, che mi ha insegnato a camminare. Già il nome della valvola inventata per le maschere ad ossigeno rendeva omaggio a mia moglie, Charlotte”.
La maschera per l’ossigeno ideata in pandemia
Durante l’emergenza Covid-19 quella valvola ha permesso di salvare la vita a 180.000 persone: utilizzata in 700 ospedali in 72 paesi del mondo, la maschera C-PAP di emergenza targata Isinnova è esposta nei musei di tutto il modo, dal MOMA di New York al Victoria and Albert Museum di Londra, passando per l’ADI Design Museum di Milano, città dove è stata anche premiata con il prestigioso Compasso d’Oro.
E chissà che anche per Letizia ora non si apra la stessa fortunata strada di Charlotte.